Ha un volto e un nome l’autore delle minacce rivolte la mattina del 12 giugno del 2019 al centralino del Giornale di Sicilia contro il cronista di nera del nostro quotidiano Leopoldo Gargano e l’intera redazione. La Procura antimafia, che ha indagato sulla vicenda, ha chiesto al gip il rinvio a giudizio di Angelo La Manna, 47 anni, palermitano, residente ad Alessandria, ritenuto l’autore di quella telefonata intimidatoria. A La Manna i magistrati contestano il reato di minacce, aggravato dal favoreggiamento a Cosa nostra. A coordinare le indagini il procuratore aggiunto alla direzione distrettuale antimafia Salvatore De Luca e il sostituto Amelia Luise, che hanno affidato l’inchiesta agli uomini dello Sco della squadra mobile, a cui l’episodio era stato immediatamente segnalato. Quella mattina di giugno una voce di uomo che chiamava da un cellulare chiedeva di parlare con Leopoldo Gargano. A ruota le minacce. «Gargano scrive troppe minchiate, qui parla la famiglia Lo Piccolo: vi mettiamo una bomba e vi facciamo saltare tutti in aria». Poi il clic di fine conversazione. Un’intimidazione in piena regola al lavoro del nostro cronista, come a volte accade ai giornalisti in prima linea, minacce che spesso finiscono «archiviate». Stavolta no. I pm, dopo mesi di indagini, hanno chiesto l’incriminazione per La Manna e il gip Roberto Riggio ha già fissato la prima udienza, in cui Leopoldo Gargano è parte offesa. Subito dopo le minacce giunte in redazione era stata avvisata la polizia, a cui era stato anche fornito il numero di cellulare da cui era partita la chiamata. In quella circostanza era arrivata al giornalista la solidarietà incondizionata della direzione del «Giornale di Sicilia», del comitato di redazione di via Lincoln, del Consiglio dell’Ordine e del sindacato di categoria. Il giorno dopo era giunta anche una nota dell’avvocato Alessandro Campo, rappresentante legale di Calogero Lo Piccolo e dei suoi familiari che si «dichiaravano assolutamente estranei alla vicenda». Due giorni prima delle minacce Gargano aveva dato notizia di una nuova indagine per estorsione a carico di Salvatore Lo Piccolo. Ora la svolta con l’incriminazione di La Manna, volto più che noto alle forze dell’ordine. Ex impiegato di un ristorante di Carini, (anche questo gestito da un mafioso) La Manna nel 2005 aveva scelto di pentirsi. Figlio di un personaggio ritenuto affiliato alla cosca della Noce, La Manna abitava a Carini ed era ritenuto molto vicino al presunto capofamiglia, Angelo Antonino Pipitone, detto zu Ninu, nel cui locale lavorava in cucina. Venne affiliato «in prova» durante una cena al Johnny Walker, storico locale allo svincolo autostradale del paese e zu Ninu gli disse: «Adesso se sbagli sei morto». Le sue dichiarazioni sono state utilizzate dalla Guardia di finanza e dalla sezione misure di prevenzione del tribunale per aprire la cassaforte della cosca di San Lorenzo. Conteneva un tesoro da 300 milioni di euro, tra imprese, negozi e conti correnti. Dai computer al mattone, una ragnatela di prestanome controllata, secondo l’accusa, dal mandamento di San Lorenzo che La Manna aiutò a dipanare. Ora per il collaborante arriva l‘incriminazione per minacce con l’aggravante mafiosa.