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Pizzo e droga, diventano definitive le condanne di 5 esponenti del clan di Bagheria

Pizzo e droga: diventano definitive le condanne per cinque esponenti del clan di Bagheria. La V sezione della corte di cassazione ha, infatti, dichiarato inammissibile il ricorso di Settimo Montesanto e Pietro Granà; rigettati anche i ricorsi di Giuseppe Giacinto Tutino, Carmelo Barone e Michelangelo Maurizio Lesto. Il 24 ottobre 2018 la Corte di appello aveva condannato Carmelo Bartolone a 13 anni, Pietro Granà a 10, Michelangelo Lesto a sette, Giacinto Tutino a cinque anni, Settimo Montesanto a tre anni e quattro mesi (senza l’aggravante mafiosa).

Secondo l’accusa con il pizzo e il traffico di droga avrebbero finanziato campagne elettorali, imprese edili, supermercati e locali notturni. Gli imputati erano stati arrestati nel blitz "Argo" del 2013 che azzerò i clan del mandamento di Bagheria: 21 i provvedimenti cautelari per i reati di associazione mafiosa, estorsione, rapine, detenzione illecita di armi da fuoco, scambio elettorale politico mafioso e traffico internazionale di stupefacenti.

Tra gli indagati c'era anche Giuseppe Scrivano, sindaco di Alimena: la sua posizione è stata stralciata per un vizio di forma ed il processo in corso. La Corte di Cassazione ha anche condannato gli imputati al risarcimento delle spese processuali delle parti civili tra cui Confindustria Palermo, il Fai, il Centro Pio La Torre e i comuni di Bagheria, Villabate, Ficarazzi, Altavilla Milicia Casteldaccia, rappresentati dagli avvocati Ettore Barcellona, Francesco Cutraro, Salvatore Caradonna.

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