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Mafia, il gip sull'arresto di Nicosia: "La Occhionero gravemente inconsapevole o connivente"

Antonello Nicosia

«Si rileva che quanto accaduto, in difetto di idonei accertamenti sui soggetti chiamati a collaborare con i parlamentari, risulta indicativo in via alternativa di un grave difetto di consapevolezza nell’ambito istituzionale, ovvero di una connivenza che vedeva taluno favorire contatti impropri tra mafiosi per ragioni non dichiarate e comunque in questa sede non valutabili": lo scrive il gip di Sciacca, Alberto Davico, nel provvedimento di convalida del fermo dei 5 indagati dell’operazione «Passepartout». Tra questi Antonello Nicosia, accusato di veicolare messaggi dei boss all’esterno utilizzando il ruolo di collaboratore della parlamentare nazionale Giuseppina Occhionero.

Il gip - che nel convalidare oggi il fermo, ha disposto l’applicazione della custodia cautelare in carcere e la trasmissione degli atti alla Dda di Palermo - ha stilato un apposito capitolo intitolato «L'infiltrazione di Cosa nostra nello Stato": «Si deve sottolineare che nell’ambito del presente procedimento emergono elementi obiettivi in ordine a una gravissima infiltrazione di Cosa nostra nell’ambito degli apparati dello Stato, strumentalizzati per finalità apparentemente nobili, ma in realtà volti ad alleggerire il rigore della detenzione dei mafiosi e comunque a favorire i contatti tra i medesimi».

«Se non si interloquisce in ordine alla posizione dell’onorevole Occhionero - prosegue il giudice - in questa sede si sottolinea che tramite un messaggio proveniente dalle carceri può ben essere ben ordinata una azione omicidiaria e che comunque può essere garantita l’operatività di Cosa nostra, con permanente giustificazione obiettiva del regime di carcere duro denominato 41 bis". Sempre sulla Occhinero, il giudice sottolinea come i suoi comportamenti  dimostrano o «un grave difetto di consapevolezza» oppure «una connivenza» .

Per il gip sussistono a carico degli indagati concreti indizi di colpevolezza in ordine alla commissione dei reati contestati e «specifici elementi che potevano far ritenere fondato il pericolo di fuga che si desume, anche, «dalle modalità operative del gruppo che consentono - spiega - di delineare un contesto tipicamente associativo che mette il singolo compartecipe in condizione di fruire di supporti logistici, coperture, disponibilità di mezzi e, ove necessario, di armi, come risulta evidente dalla permanente latitanza di Matteo Messina Denaro».

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