Pronto, Borsellino sono.
Basta ascoltare la viva voce di Paolo Borsellino, riemersa proprio in questi giorni grazie alla desecretazione degli atti della Commissione parlamentare antimafia, per cogliere nel tono del giudice, di cui oggi si celebra l’anniversario della morte ma del quale dopo ventisette (ventisette!) anni non si è ancora celebrata la verità, quell’inflessione carica di orgogliosa ed esibita sicilianità, mista a un’ironia che di fronte alla stupidità degli esseri umani tracima nel sarcasmo, per cogliere le profondissime somiglianze tra il personaggio inventato dal genio di Camilleri e il giudice eroe (Suo malgrado).
E allora oggi, nel giorno della commozione per la morte, per fortuna naturale, di un altro grande siciliano, più che interrogarsi sui personaggi letterari o televisivi, Maigret, Pepe Carvalho o il tenente Colombo, ai quali Camilleri si sarebbe ispirato per inventare Montalbano, basta ascoltare la voce di Paolo Borsellino, in quella drammatica audizione del 1984 per capire tante cose di questa Sicilia e di questa Italia alla quale Borsellino e Camilleri tanto hanno dato e per rendere omaggio all’uno e all’altro.
Dopo aver mostrato tutta la propria insofferenza per la burocrazia — “è arrivato un computer da un mese, sembra che i problemi di installazione siano estremamente gravi, è arrivato ed è stato messo in camerino” — Borsellino, con voce carica di rabbia, fa presente che nonostante la mattina, con “strombazzamento di sirene”, si viene accompagnati in ufficio dalle scorte e dalle macchine blindate, il pomeriggio si va in ufficio con la propria, perché “machina” blindata ce n’è una sola ed evidentemente non può andare a raccogliere “quaccio” colleghi. E all’interlocutore che — forse convinto di far ridere — gli dice che andando in ufficio il pomeriggio con la propria auto avrebbe riacquistato un po’ di libertà, Borsellino, come Montalbano col questore, cambia tono e risponde che, certo, lui la libertà la riacquista, ma non capisce “che senso abbia perdere la libertà di mattina per poi essere libero di essere ucciso la sera”.
Paolo Borsellino, chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, lo racconta così: umano, leale, ironico. Come Montalbano. Così tanto e così orgogliosamente siciliano, come Montalbano.
Ma anche così poco siciliano, come Montalbano. Insofferente all’indolenza e operoso al punto da alzarsi ogni mattina alle cinque: ma per “fottere” il mondo con due ore di anticipo, come raccontava ridendo. Così poco o nulla siciliano, così per niente italiano, da credere nella cosa pubblica, lì dove in Sicilia e in Italia è tutto, e sempre, una questione privata. Ma, come Montalbano, appassionato alle cose autentiche e sincere della vita, che non è fatta solo di impegno e di lavoro. Avrebbe amato la cucina di Adelina. E a chi lo avesse disturbato mentre mangiava pesce fresco, con sua moglie e i suoi figli e i suoi amici, avrebbe risposto: non ci scassare i cabasisi!
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