Giovani donne nigeriane convinte di venire a lavorare in Italia venivano poi costrette a sottoporsi a riti vodoo e a vendere il proprio corpo una volta giunte a destinazione. Si facevano, infatti, carico di un debito di 30mila euro per il pagamento del viaggio verso l’Italia, che poi erano obbligate a saldare prostituendosi.
Il Gico della guardia di finanza ha smantellato un’organizzazione criminale tra la Nigeria, la Libia e l’Italia. Sono state fermate quattro persone per tratta di esseri umani, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e sfruttamento della prostituzione. A capo dell’organizzazione una donna nigeriana di 35 anni residente a Palermo la “maman”. Proprio lei avrebbe costretto le ragazze a prostituirsi con minacce di morte e percosse. Ad aiutarla anche un campano e un lombardo, G.P. di 26 anni e G.S. di 29 anni.
La “maman” aveva anche l’aiuto di un altro italiano, G.M. di anni 78, che con la sua auto quale portava le vittime nei luoghi di sfruttamento a Palermo. L’anziano avrebbe avuto anche il ruolo di vedetta, segnalando alla responsabile l’eventuale sopraggiungere di pattuglie delle forze dell’ordine.
Le persone sono state poste in stato di fermo dai finanzieri del Gico del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo, dopo articolate indagini coordinate dalla locale Direzione Distrettuale Antimafia. I quattro sono sotto fermo di indiziato di delitto accusati di appartenere ad un’associazione per delinquere transnazionale dedita al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, alla tratta di esseri umani e allo sfruttamento della prostituzione di giovani donne provenienti dalla Nigeria.
Le operazioni di polizia giudiziaria si sono svolte fra Palermo, Napoli, Dervio (Lucca), Bergamo, concludendosi nella nottata con l’individuazione e la cattura del capo dell’organizzazione, già rifugiato politico all’aeroporto di Orio al Serio (Bergamo).
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti le vittime sarebbero state assoggettate anche attraverso potenti e simbolici rituali magici eseguiti anche nel continente africano in santuari e templi chiamati “shrines”, dove avviene il sacrificio di animali e alle ragazze vengono prese unghie, capelli e biancheria intima.
Le donne sarebbero state, poi, trasferite in Libia e costrette a permanere in strutture di detenzione dell’associazione criminale, per essere definitivamente imbarcate alla volta dell’Italia.
Una volta arrivate in Sicilia venivano accompagnate nei centri di prima accoglienza. Da qui i loro sfruttatori le avviavano alla prostituzione con l’obbligo di riscattare progressivamente la somma concordata per riottenere la libertà ed evitare conseguenze lesive per loro e i propri familiari in Nigeria.
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