Palermo

Lunedì 25 Novembre 2024

Azoto al posto dell'ossigeno al neonato: due assoluzioni e una condanna a Palermo

Ribaltata in appello la sentenza con cui il giudice monocratico di Palermo aveva condannato, per lesioni colpose gravissime, il direttore del dipartimento materno-infantile del Policlinico, Enrico De Grazia, il geometra e tecnico del Policlinico Aldo La Rosa, e l'imprenditore Francesco Inguì, titolare della Sicilcryo srl di Marineo. La sentenza pochi giorni prima che la prescrizione chiudesse definitivamente il caso incredibile del bimbo reso permanentemente invalido, al Policlinico di Palermo, per un’erronea somministrazione di azoto liquido al posto di ossigeno. Il bimbo ha otto anni e non parla né cammina e di questo i tre imputati erano stati ritenuti responsabili. Oggi la corte d'appello ha assolto De Grazia, difeso dagli avvocati Francesco Crescimanno e Giovanni Di Benedetto, e Inguì difeso da Luca Inzerillo. De Grazia aveva avuto un anno e mezzo, Inguì tre anni, la pena massima per questo tipo di reato. La corte ha ridotto invece la pena per La Rosa che ha avuto un anno e mezzo: in primo grado era stato condannato a tre anni. Confermata però la provvisionale immediatamente esecutiva di un milione e 200mila euro per la famiglia del bambino costituita parte civile. Francesco Inguì, titolare della ditta Sicilcryo srl, nel 2010, eseguì i lavori sull'impianto di gas medicali del reparto Maternità del Policlinico; Aldo La Rosa era direttore dei lavori. Al neonato venne somministrato protossido di azoto invece di ossigeno per 68 minuti: errore costatogli una paralisi cerebrale infantile. Il processo era arrivato a sentenza dopo 7 anni dai fatti per vari avvicendamenti del magistrato giudicante. Il bambino ha bisogno di assistenza continua. Dopo la nascita mostrò segni di sofferenza. I medici decisero di somministragli l'ossigeno. Ma nel tubo dell'impianto appena rifatto dalla Sicilcryo srl e mai collaudato c'era invece protossido di azoto, un gas anestetizzante che il neonato respirò per 68 minuti. "Non fu eseguita alcuna prova di gas specificità nè le opere vennero collaudate - scrisse il giudice di primo grado - Ciò nonostante le prese erano state dotate di flussometri e attacchi che rendevano immediatamente fruibile l'impianto di gas medicale".

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