Il 29 maggio 2018, sei mesi dopo la morte di Totò Riina, la commissione provinciale della cupola di Palermo è tornata a riunirsi. Gli inquirenti hanno ricostruito cosa è accaduto e quanto si sono detti durante l'incontro grazie all'intercettazione di una conversazione tra Francesco Colletti, attuale capo del mandamento mafioso di Villabate, e il suo fidato autista Filippo Cusimano. Ma cos'è la commissione, da chi è formata e cosa decide? In pratica, è l'organismo di vertice di cosa nostra, dove si prendono le decisioni più importanti, storicamente composta dai capi mandamento. Secondo gli inquirenti e gli storici fu fondata alla fine degli anni ‘50, al Grand Hotel et des Palmes di Palermo, durante una riunione tra i rappresentanti delle famiglie mafiose americane e siciliane. Dopo la Seconda guerra di mafia, agli inizi degli anni ’80, la commissione è cambiata la suo interno. Con l'avvento al poter dei corleonesi la commissione mutò la natura di organo collegiale e democratico, per diventare la longa manus per capo dei capi Totò Riiina. Con l'arresto del Capo dei Capi nel 1993 la commissione fu ormai decapitata. Bernardo Provenzano, pur assumendo il ruolo di vertice di cosa nostra e di coordinamento tra i vari mandamenti, non risulta abbia mai presieduto riunioni plenarie, anche in ragione della “strategia della sommersione” con cui ha inteso dirigere cosa nostra. Con Totò Riina in carcere, la commissione provinciale non è più riuscita a riunirsi per più di 25 anni. Nel 2008, però, le indagini condotte dal comando provinciale di Palermo, culminate nell’operazione Perseo, avevano documentato e sventato il tentativo, ordito da Benedetto e Sandro Capizzi, Giuseppe Scaduto e Giovanni Adelfio di ricostituire la commissione provinciale. Il vertice dell'organismo avrebbe dovuto essere assunto da Benedetto Capizzi, ma ciò era osteggiato dall'ala dissidente capeggiata da Gaetano Lo Presti, reggente del mandamento di Porta Nuova, che ne disconosceva la legittimazione ad assumere il suo ruolo "sul presupposto della necessità della autorizzazione dei capi corleonesi detenuti, ed in particolare di Totò Riina". Nonostante il tentativo fallito, le indagini dei carabinieri hanno documentato che cosa nostra, al fine di sopperire alla mancanza di un organismo decisionale idoneo a dare risposte urgenti in una fase di emergenza, aveva riconosciuto legittimità ad agire a un organismo collegiale provvisorio, costituito dai più influenti reggenti dei mandamenti della città, con mere funzioni di consultazione e raccordo strategico fra i mandamenti palermitani. Nulla a che vedere, però, con la sacralità e i poteri della commissione provinciale. Ecco perché il 17 novembre 2017, data della morte di Totò Riina, secondo gli investigato ricostituisce uno storico spartiacque per cosa nostra. Da quella data, infatti, le indagini condotte dai carabinieri del nucleo investigativo di Palermo sui mandamenti di Porta Nuova, Pagliarelli, Villabate e Belmonte Mezzagno hanno consentito di registrare un grande fermento all’interno della cupola e mediante le intercettazioni, le telecamere e i servizi dinamici sul territorio, è stata documentata un’escalation di incontri tra vari esponenti apicali dei mandamenti mafiosi cittadini e della provincia. Movimenti che sono stati decodificati a seguito dell'intercettazione di alcune conversazioni ambientali che svelavano i dettagli di un’importantissima riunione avvenuta, il 29 maggio 2018 , sei mesi dopo la morte del capo corleonese , tra i reggenti dei mandamenti mafiosi della provincia palermitana. Alcune modalità organizzative, nonché le ragioni dell’importante incontro emergevano, in particolare, dall’intercettazione di una conversazione intercorsa tra Francesco Colletti, attuale capo del mandamento mafioso di Villabate, e il suo fidato autista Filippo Cusimano, uomo d’onore alla famiglia di Villabate, e in quanto tale legittimato a "conoscere". Nello specifico, Francesco Colletti, riferendo di aver partecipato alla riunione da poco conclusa, effettuava chiari riferimenti sia ad altri importanti capi di mandamenti mafiosi della città e della provincia, anch’essi partecipanti alla riunione, come Settimo Mineo, capo del mandamento mafioso di Palermo Pagliarelli, Filippo Bisconti, capo del mandamento mafioso di Belmonte Mezzagno e Gregorio Di Giovanni, capo del mandamento mafioso di Palermo Porta Nuova. Colletti ha fatto riferimenti anche ad altri uomini d’onore che, sebbene ricoprissero ruoli apicali nelle diverse articolazioni mafiose territoriali, non avevano l’autorità per partecipare alla riunione. Colletti ha parlato anche della presenza alla riunione di altri “vecchi di paese”, e cioè di capi di mandamenti mafiosi anche esterni alla città di Palermo, oltre a quelli espressamente citati e della centralità del ruolo che Settimo Mineo aveva assunto in seno alla riunione, durante la quale aveva preso la parola e ricordato le relative regole agli altri intervenuti. Colletti ha riferito di periodiche riunioni durante le quali i rappresentanti dei mandamenti dovrebbero scegliere i vertici delle famiglie mafiose. Durante la prima riunione si accennano a due casi: quello relativo alla scelta del capo del mandamento della Noce e quello relativo alla scelta del capo della famiglia mafiosa di Bagheria. Nella riunione si parlò anche di dirimere gli eventuali contrasti tra i componenti delle varie articolazioni, sanzionare gli uomini d’onore in caso di inadempienze o comportamenti censurabili allontanandoli temporaneamente o definitivamente dalle rispettive famiglie. Secondo gli inquirenti dalle parole intercettate di Colletti che: "Il 29 maggio 2018 era stata ricostituita la commissione provinciale di cosa nostra palermitana, la cui sola esistenza e operatività rappresentano un gravissimo pericolo per l’ordine pubblico sul territorio dell’intera provincia".