È stato dissequestrato il patrimonio 50 milioni di euro della famiglia d'imprenditori palermitani Niceta. I giudici della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo hanno dissequestrato il patrimonio a cui erano stati apposti i sigilli dal 2013 su richiesta della procura. Per i Niceta è il secondo provvedimento favorevole. La corte d'appello aveva già annullato un sequestro disposto dal tribunale di Trapani. Nel dicembre 2013 la guardia di finanza sequestrò il patrimonio della famiglia di commercianti di Palermo Niceta su richiesta della Dda del capoluogo siciliano. Il sequestro scattò al patrimonio di Mario Niceta e dei figli Massimo, Pietro e Olimpia. Furono apposti i sigilli alle società che avevano gestito una serie di negozi a Palermo in via Roma, Corso Camillo Finocchiaro Aprile, viale Strasburgo e via Ruggero Settimo con il marchio Olimpia, ma anche a Trapani. Secondo gli inquirenti il capostipite della famiglia Niceta, Mario, e i figli, titolari di una serie di negozi di abbigliamento, avrebbero accumulato il loro tesoro grazie ai legami con Cosa nostra. Dopo il sequestro tutti i punti vendita hanno chiuso i battenti. A carico dei Niceta sono stati disposti due provvedimenti: uno su proposta del questore di Trapani che ha colpito i negozi "Blue Spirit" e "Niceta Oggi", l'altro su proposta dei pm di Palermo che aveva ad oggetto l'intero patrimonio della famiglia. A Trapani avevano contestato ai Niceta di essere prestanome del boss Filippo Guttadauro: tesi che non ha retto al processo d'appello. A Palermo a loro carico erano state prodotte le dichiarazioni del pentito Angelo Siino, che aveva indicato il capostipite della famiglia come prestanome di Giuseppe Abbate, capo della famiglia mafiosa di Roccella, e quella di Massimo Ciancimino che aveva raccontato di un summit con Bernardo Provenzano e padre, don Vito, a cui avrebbe partecipato anche Mario Niceta. Gli imprenditori erano difesi dagli avvocati Roberto Tricoli e Salvino Pantuso.