Aveva preteso da un imprenditore delle acque minerali il ripristino del lavoro 'full time' per suo figlio dopo che l’orario del giovane era stato ridotto a causa delle continue assenze che nemmeno si prendeva la briga di segnalare.
La Cassazione ha confermato l’accusa di estorsione pluriaggravata dal metodo mafioso, e la custodia in carcere, nei confronti di Vito Lucio Guagliardo, il padre del ragazzo messo in 'part time', ricordando che all’imprenditore era stata mandata una lettera anonima con proiettili e anche al titolare dell’impresa, un industriale di Parma, oltre alla circostanza di un incendio doloso nello stabilimento.
Nel verdetto 20175, gli 'ermellini' ricordano che l’ordinanza di conferma della misura cautelare del Tribunale del riesame di Palermo del novembre 2017 sottolineava che dal tenore di una lunga conversazione intercettata tra Guagliardo e l’imprenditore minacciato, emergeva «lo stato di soggezione» del datore di lavoro «costretto a scusarsi con l’indagato per avere ridotto l'orario lavorativo del figlio, nonostante tale misura fosse giustificata dalle reiterate e ingiustificate assenze di quest’ultimo».
«L'indagato minacciava più volte il suo interlocutore, anche in maniera larvata e con modalità tipiche del metodo mafioso, facendo riferimento alle circostanza che nella vita si perde la pazienza e alla missiva anonima contenente dei proiettili», aggiunge il verdetto.
L’inchiesta riguarda la riorganizzazione della mafia a Bagheria, diretta fino al 2012 da Franco Lombardo del quale Guagliardo viene indicato come «intimo amico e soggetto a disposizione». Sono emersi numerosi episodi di pizzo e racket suffragati dalle testimonianze di alcuni collaboratori di giustizia, e solo in seguito confermate dagli imprenditori che non avevano denunciato le estorsioni e che sono stati sentiti a distanza di anni dai fatti.
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