La quarta sezione del Tribunale di Palermo ha condannato a nove anni Claudio D’Antoni, accusato di essere l’autore del terribile rogo avvenuto nella notte tra il 17 ed il 18 agosto del 2008 in un palazzo di via Pindemonte, nel quartiere della Zisa, e nel quale persero la vita una madre e sua figlia, Maria Stella e Fatima Lo Verso. Nell’incendio, inoltre, rimasero gravemente feriti anche altri residenti, Marco Lo Verso, Antonino Rosone e Rosa Impallomeni. Secondo la ricostruzione della Procura che aveva chiesto la condanna a 15 anni (il processo è ricominciato lo scorso anno dopo avere cambiato giudice), D’Antoni quella sera avrebbe cosparso di benzina e dato fuoco all’attività commerciale del padre, che si trovava nello stabile, per potere poi incassare i premi assicurativi. Un’accusa che l’imputato ha sempre respinto. La polizia scientifica, tra l’altro, durante le indagini, avrebbe ritrovato tracce di liquido infiammabile non solo nell’edificio, ma anche sui vestiti che l’imputato avrebbe indossato quella sera. Nel processo si sono costituite parte civile le vittime e i parenti delle due persone decedute assistiti dagli avvocati Calogero Vella e Vincenzo Pillitteri. Nelle udienze precedenti è arrivato anche un “supertestimone” che però non ha scardinato le certezze del procuratore aggiunto Ennio Petrigni. Il testimone Giancarlo Cardullo disse che ad agire furono due uomini travisati, uno portava un casco e l’altro cappellino e occhiali scuri. Molte le circostanze che Cardullo non ricorda ma pare certo di alcuni particolari: avrebbe visto i due uomini uscire da un portoncino in via Pindemonte, mezz’ora dopo la mezzanotte, e poi salire su una Fiat Seicento in cui ad aspettarli c’era un terzo uomo, anche lui con il volto coperto. Poco dopo il passaggio a piedi di Cardullo, la Seicento sarebbe partita a razzo, facendo inversione e filando verso via Cappuccini. Il teste, che andava verso corso Calatafimi, subito dopo sentì un fortissimo boato “e a quel punto accelerai il passo, dirigendomi verso casa”. Per la Procura è una ricostruzione “superfalsa”. “E’ non meno che pazzesco – dice Petrigni nella requisitoria – stare a sentire la deposizione del Cardullo. E’ quanto di più prosaico, falso ed intellettualmente offensivo possa immaginarsi. E’ di una evidenza lampante la falsità di ciò che dice e l’assoluta incoerenza di quanto racconta”.