PALERMO. Il mondo abita qui, attorno alla Stazione centrale, tra via Perez e via Maqueda. Tra i banchi ci sono Mario, che ha la mamma italiana, John del Ghana e Anisha del Bangladesh. Donne che indossano abiti con fogge molto diverse, ma che per i loro figli sono «le più belle del mondo».
E a tavola, a mensa, c’è chi sceglie il menù senza carne per rispettare le tradizioni culturali islamiche, ma nessuno si è mai sognato di prenderlo in giro. Perché in una delle scuole più antiche della città, forse la prima elementare pubblica fondata nel 1892, la multiculturalità non è teoria da leggere sui libri e guardare nei documentari, ma realtà da accogliere e condividere, e anche sfida da gestire. È immenso l’istituto comprensivo Perez-Madre Teresa di Calcutta, due plessi che raccontano la storia della città e che nel 2013 sono stati riuniti in un’unica istituzione scolastica che accoglie 980 alunni, tra infanzia, primaria e secondaria di primo grado, di cui 477 bambini nati all’estero o figli di stranieri, con 21 nazionalità diverse, dai Paesi del Nord Africa all’estremo oriente.
Un mappamondo che ogni giorno impara, studia, gioca, si scatena, fa amicizia, cercando di tenere i conflitti e le intolleranze fuori dal portone. Certo, capita anche che qualche madre si presenti col viso completamente coperto dal velo, chiedendo di prendere il figlio in classe, e con molto tatto ma anche decisione il custode le chieda di tenere il volto scoperto in modo da essere riconoscibile. «C’è un aumento negli ultimi tempi di donne che indossano abiti tradizionali, soprattutto nella comunità del Bangladesh» rileva la dirigente scolastica Laura Pollichino, che da dieci anni è al timone di questa nave internazionale, e due mamme vengono col niqab, il velo integrale che lascia scoperti solo gli occhi. Usanze e culture sbarcate negli ultimi decenni nel quartiere un tempo abitato dai ferrovieri e che, leggendo le carte custodite nella biblioteca della scuola, pian piano si trasformò nella residenza dell’alta borghesia commerciale di Palermo.
Non è facile gestire una simile molteplicità. «Ci imbattiamo spesso in modalità educative diverse dalle nostre - spiega la preside - I bambini tra di loro si conoscono dalla scuola materna e si accettano senza problemi. Giocano insieme, scherzano, ma sappiamo che fuori dalla scuola non c’è una frequenza tra alunni che appartengono a etnie diverse. Accade anche che alcuni bambini improvvisamente partano per il Paese d’origine, magari adducendo come motivazione la morte di un parente, ma in realtà sappiamo che è diffuso il fenomeno delle promesse di matrimonio sin dalla più tenera età».
Ma la sete di cultura e le doti di ciascuno emergono, grazie al lavoro svolto in classe. «Le eccellenze arrivano proprio dai ragazzi di origine bengalese - continua la Pollichino - Abbiamo ex alunni che oggi frequentano il liceo scientifico e anche il classico, anche se la maggior parte predilige gli istituti professionali e linguistici, per accedere più velocemente al mondo del lavoro. Da due-tre anni, però, noto un esodo verso il Regno Unito, perché la crisi spinge a cercare lavoro fuori». I docenti del plesso di piazza Perez e di quello di via Fiume fanno di tutto per sfruttare al massimo le risorse (circa 15-20 mila euro all’anno) destinate alle scuole nelle aree a forte processo immigratorio. Ci sono i corsi di italiano come lingua seconda, di potenziamento di matematica e inglese, c’è un forte investimento nel settore tecnologico che ha permesso di dotare tutte le classi di lavagna interattiva multimediale e le scuole di wifi.
E poi c’è la grande opportunità del tempo pieno (40 ore settimanali), che coinvolge cinque classi della primaria e sei sezioni di infanzia. Centinaia di bambini che imparano la cultura e il rispetto dell’ambiente a tavola. Le due grandi sale mensa a piano terra diventano ogni giorno un’occasione per gustare i pasti della mensa comunale (il piatto preferito, neanche a dirlo, resta la pasta al pomodoro), ma anche per rispettare le tradizioni e custodire l’ambiente. Vengono usati piatti, posate e bicchieri biodegradabili.
«Ai musulmani che non consumano carne di maiale, ma neppure di vitello se non conoscono la procedura di macellazione, diamo la possibilità di scegliere il menù che per convenzione chiamiamo ebraico, dove ci sono solo pesce e pollo – racconta Loredana Scozzari, assistente H e di refezione – I bambini vanno matti per i piatti in cui è presente il pomodoro, un po’ meno per pesce e verdura, ma pian piano si abituano ad assaggiare tutto. E poi i nuovi menù sono molto migliorati».
E il lavoro di inclusione prosegue attraversando la strada e facendo rete con il territorio, soprattutto con ItaStra, la scuola di lingua italiana per stranieri dell’Università guidata da Mari D’Agostino, in piazza Sant’An - tonino, che invia alcuni tirocinanti dei master proprio nelle classi della Perez-Madre Teresa di Calcutta, per lavorare con i bambini Nai, un acronimo per dire neoarrivati in Italia. Ma anche condividendo l’amore per il quartiere e per gli spazi comuni, il rispetto per l’ambiente. «Mi ricordo quando abbiamo comprato con le nostre famiglie le piantine da portare a scuola e le abbiamo messe nelle aiuole - racconta Eric, faccino tondo e occhioni enormi, di origine ghanese - È stato bellissimo, ma adesso dobbiamo prenderci cura di queste piante, le dobbiamo innaffiare perché piove poco».
E Carmelo e Cristabel mostrano gli scatoloni che con i maestri Ornella Lima, Enzo Giangrasso e Antonella Venezia hanno trasformato in contenitori per la raccolta differenziata da fare in classe. «Le scatoline dei succhi di frutta vanno qui, vedi? - Carmelo indica la scatola giusta - Il tovagliolo della merenda, invece, va qui». «E se i nostri genitori sbagliano a buttare la plastica nelle campane per la differenziata in strada, glielo spieghiamo noi» è sicuro di sé Eric. Ma se c’è una cosa di cui docenti e preside vanno orgogliosi è Maria (nome di fantasia). Tra gli enormi e antichi corridoi, tetti altissimi e ampie finestre, i mille lavoretti colorati rallegrano un ambiente altrimenti molto austero. Cartoncini, tappi di bottiglia, scarti di stoffa possono assumere forme e colori inimmaginabili, basta un po’ di fantasia e creatività. Anche Maria ha potuto contribuire a tutto questo, a suo modo. Tra i 56 bambini con disabilità che frequentano i plessi Perez e Madre Teresa, c’è anche lei, rumena, 13 anni, in sedia a rotelle e con qualche problema cognitivo. «Quando la mamma l’ha iscritta ci ha detto che nel piccolo paese della Romania in cui abitavano non era mai andata a scuola. Praticamente a 13 anni era analfabeta, cresciuta da sola, sempre in casa, con pochissimi stimoli - spiega Laura Pollichino - L’abbiamo inserita in una prima media. I compagni l’adorano e lei è meravigliosa. Un dono per questa scuola».
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