PALERMO. «Palermo torna al passato con il razionamento idrico. Peccato che dal 2010 si continui a sversare in mare l’acqua delle sorgenti di Scillato, a causa di una breccia nell’acquedotto che la porta in città». A dirlo Giovanni Musso, segretario generale Femca Cisl Palermo Trapani, e Lia Arcuri, segretario aziendale all’Amap per la Femca Cisl Palermo Trapani. «In 8 anni sono stati buttati a mare 100 milioni di metri cubi d’acqua potabile - aggiungono Musso e Arcuri - provenienti da una sorgente nota per le sue caratteristiche, tanto che recentemente il comune di Scillato ha formalizzato le procedure di aggiudicazione per l’imbottigliamento per scopi commerciali». Secondo la Femca Cisl «nulla è stato fatto per risolvere definitivamente il problema, se non un intervento tampone nel 2017 che ha riportato in condotta solo una parte di quest’approvvigionamento idrico». «È inconcepibile - affermano - che un’azienda possa tollerare che un terzo del suo fatturato vada buttato, senza che sia riuscita trovare i giusti interlocutori per procedere alla riparazione dell’acquedotto, anche con mezzi propri, tenuto conto che l’investimento sarebbe stato ripagato in qualche anno». «Dal 2010 il fabbisogno idrico di Palermo - ricordano - è stato soddisfatto utilizzando le acque potabilizzate degli invasi, con elevati costi energetici e di trattamento e così, anno dopo anno, gli invasi si sono svuotati fino a diventare delle pozzanghere e l’approvvigionamento idrico è ora un problema di non facile soluzione». «Oggi come effetto della scellerata gestione - aggiungono - diventa indispensabile la turnazione e si invoca lo stato di calamità naturale prospettando come soluzione i dissalatori. Dietro la sete d’acqua ci sono progetti, lavori, accordi e finanziamenti, un business ingente. Per i dissalatori sono richiesti investimenti di milioni di euro, tempi lunghi per la realizzazione oltre a costi elevatissimi per la gestione e manutenzione per la produzione di acqua potabile, come insegnano le esperienze di Cefalù e Trapani».