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Mafia, l'ascesa di Biondino a capo clan
Fermato mentre preparava la latitanza

PALERMO. In una casa nelle campagne di Palermo fu decisa la sua investitura. Così Giuseppe Biondino, figlio dell'autista di Totò Riina, Salvatore, salì al vertice della famiglia mafiosa di San Lorenzo.

Biondino oggi è stato fermato dai carabinieri insieme a boss ed estortori finiti in cella con provvedimento della Dda di Palermo che, intercettandoli da settimane, aveva la certezza che stessero per darsi alla fuga. Dunque hanno affrettato le operazioni.

Davanti a Francesco Paolo Liga e Pietro Salsiera, a Biondino fu dato il libro mastro delle estorsioni e il mandato a comandare una delle zone più ricche di Palermo. Un capo accettato da tutti dopo le alterne vicende del suo predecessore, Giovanni Niosi, pompiere con la passione per il cinema che non aveva mai convinto i picciotti.

Storie di potere e soldi raccontate ancora una volta da un pentito che, arrestato due mesi fa, ha scelto la strada della collaborazione coi magistrati consentendo il fermo di cinque persone. "Non mi riconosco più nelle logiche di Cosa nostra", ha detto Sergio Macaluso ai pm che lo interrogavano. E ha raccontato di Biondino, del suo ruolo nel clan, degli organigrammi del mandamento. Lui che per anni nella zona aveva contato.

"L'onorevole", così era soprannominato dai suoi il figlio del fedelissimo di Riina, aveva più volte fatto su e giù dalla Spagna per prepararsi la latitanza, probabilmente avendo capito, come un altro degli arrestati, Francesco Lo Iacono, che Macaluso aveva cominciato a collaborare. Con la sua gestione del clan, con la sua gestione della cassa erano finiti i malumori nati col suo predecessore che, oltre ad avere la colpa di aver patteggiato una condanna per estorsione, una violazione imperdonabile del codice mafioso, aveva mostrato qualche problema nella tenuta dei conti.

Con Biondino, arrestato nel 2008, assolto tre anni dopo e scarcerato, gli affari - pizzo, scommesse - erano tornati a girare. Lo racconta Macaluso e viene fuori dalle intercettazioni che hanno svelato una estorsione consumata e due tentate a imprenditori e commercianti palermitani.

A raccogliere il pizzo, come già venuto fuori in altre inchieste, era un commerciante, esattore per conto di Cosa nostra: Savatore Ariolo, anche lui fermato, titolare di un'attività di vendita di frutta. Stesso ruolo avevano Ahmed Glaoui, tunisino, e Bartolomeo Mancuso. Mentre al quinto arrestato, Francesco Lo Iacono, anche lui con "parentele di rango in Cosa nostra, i pm hanno contestato l'attentato incendiario alla concessionaria Autocar Service di Partitico, distrutta nel 2015 dal racket. Anche Iacono, nipote dello storico boss del paese, stava per fuggire. I magistrati hanno documentato diversi suoi viaggi a Dusseldorf, città in cui aveva intenzione di iniziare la sua nuova vita da latitante.

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