PALERMO. Calogero Cicero, ex finanziere, non era capace di intendere e volere quando uccise con la pistola d'ordinanza Vincenzo La Tona, impiegato dell'ufficio tecnico del Comune di Cerda. Era certo che la vittima fosse l'amante della moglie e lo crivellò di colpi nei locali del municipio. Una nuova perizia ha confermato in appello che l'imputato non era in sé quando premette il grilletto. La corte d’assise d’appello ha così confermato la sentenza di assoluzione di primo grado del Tribunale di Termini Imerese. Secondo i periti, Cicero – assistito dagli avvocati Salvatore Priola e Barbara Mistretta - soffriva e soffre del cosiddetto “disturbo bipolare”, conosciuto anche come disturbo maniaco-depressivo, che si manifesta con gravi alterazioni dell'umore e fasi di depressione. A gennaio 2015 il sottufficiale scese da casa armato di una Beretta e arrivò negli uffici di via Roma, dove esplose la sua rabbia. Sette colpi raggiunsero La Tona al torace e alla testa. Seminò il panico fra i dipendenti e poi tornò nella sua abitazione a Termini Imerese. Fu lui stesso a consegnarsi ai carabinieri, ammettendo: "Ho ucciso l'amante di mia moglie". Il movente passionale non è mai stato in dubbio. Inizialmente, però, si era pensato a una discussione culminata con le pistolettate. Dopo l'interrogatorio, invece, la posizione di Cicero si era aggravata. Il delitto era sembrato frutto di una mente fredda, capace di programmarlo e di eseguirlo. Ma i periti, anche nel processo d’appello, sono giunti alla conclusione che si è trattato del gesto folle di una mente malata che non può essere tenuta in carcere ma curata in una struttura sanitaria.