Palermo

Venerdì 22 Novembre 2024

Colpo alla famiglia di Brancaccio, retata fra Sicilia e resto d'Italia: 34 coinvolti e sequestro da 60 milioni

Giuseppe Lo Porto

PALERMO. Trentaquattro indagati e un sequestro da sessanta milioni di euro. Terra bruciata da parte di polizia e guardia di finanza nei confronti dei maggiori esponenti del mandamento mafioso di Brancaccio. Una operazione coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia della Procura della Repubblica di Palermo, fra Sicilia, Toscana, Lazio, Puglia, Emilia Romagna e Liguria nel corso della quale sono stati messi i sigilli anche a numerose aziende e a veicoli riconducibili ad esponenti mafiosi. Torna in carcere anche Pietro Tagliavia, capo della famiglia di Brancaccio e di corso dei Mille, che attualmente si trovava ai domiciliari. Tra i coinvolti c'è anche Giuseppe Lo Porto, fratello maggiore di Giovanni, l'operatore umanitario sequestrato da Al Qaeda nel 2012 e assassinato tre anni dopo durante un'operazione antiterrorismo degli Usa da un drone. Secondo gli inquirenti Giuseppe (finito in carcere) sarebbe stato il braccio destro di Tagliavia, che dai domiciliari continuava a "governare" la cosca. Quella dei Tagliavia è una famiglia mafiosa di Palermo coinvolta anche nelle stragi del '92 e del '93. Lo Porto avrebbe gestito il racket del pizzo. Le indagini, portate avanti dalla Squadra Mobile e dal Gico del Nucleo di polizia tributaria di Palermo, hanno permesso di fare luce su numerosi episodi di minacce, danneggiamento, estorsione, furto e detenzione illegale di armi da parte di esponenti della  cosca di Brancaccio. È stato ricostruito l’intero organigramma delle famiglie mafiose appartenenti al mandamento, definendo ruoli e competenze di ciascun associato e, in particolare, individuando gli elementi di vertice. Tra questi spiccano le figure di Claudio D’Amore (in carcere), Bruno Mazzara (ai domiciliari), oltre a Lo Porto, tutti fidati collaboratori di Tagliavia. E poi Francesco Paolo Clemente, Francesco Paolo Mandalà, Gaetano Lo Coco (in carcere) incaricati del controllo delle numerose aziende, tutte intestate a prestanome, utilizzate per realizzare le  frodi di natura fiscale, operazioni finanziarie che hanno permesso al gruppo di guadagnare il monopolio in Sicilia nella vendita di imballaggi industriali. Emersi anche i nomi di Giuseppe Caserta e Cosimo Geloso (in carcere), rappresentanti della famiglia di “Brancaccio”; ed infine Giovanni Mangano, Giuseppe Di Fatta e Antonino Marino (in carcere) titolati rappresentanti della famiglia “Roccella”. Le indagini hanno permesso anche di dimostrare il totale controllo, da parte dell’associazione, di un “gruppo imprenditoriale”, distribuito su diverse regioni ma particolarmente radicato in Sicilia e Toscana.

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