PALERMO. Il gup Fabrizio Molinari ha condannato a sei mesi, pena sospesa, Roberto Clemente, deputato di Pid, per cui era stata chiesta la pena di tre anni per corruzione elettorale. Condannati, sempre per corruzione elettorale Antonino Fiorentino e Salvatore Ingrassia a otto mesi. Assolto Marcello Macchiano, accusato di peculato. Al centro della ricostruzione dei pubblici ministeri Amelia Luise, Annamaria Picozzi e Francesco Del Bene, c'è Giuseppe Bevilacqua, primo dei non eletti alla carica di consigliere comunale a Palermo alle elezioni del 2012: esponente del Pid, il partito di Saverio Romano, avrebbe gestito un pacchetto di voti conquistato anche grazie ai suoi rapporti con esponenti di spicco del mandamento mafioso palermitano di Tommaso Natale. Ai boss, in cambio del sostegno, avrebbe promesso posti di lavoro. Ad alcuni politici avrebbe messo a disposizione le proprie preferenze chiedendo, come corrispettivo, favori, finanziamenti per le proprie associazioni, alcune di volontariato, incarichi professionali per sé e i suoi amici. Nell’inchiesta sulle regionali del 2012 ci sono anche Nino Dina (all'epoca, Udc, oggi del gruppo misto All'Ars), Franco Mineo, ex deputato regionale di Grande Sud, che hanno scelto il rito ordinario. In quelle elezioni Nino Dina e fu poi eletto tra le fila dell'Udc, Mineo invece non riuscì a ottenere il seggio a Sala d'Ercole. Dalle indagini emerse che in un'intercettazione telefonica del 27 luglio del 2012, Giuseppe Bevilacqua racconta alla sorella Teresa che in occasione di un incontro avuto la sera precedente con Dina, questi gli avrebbe garantito che avrebbe fatto avere un "incarico di 15 mila euro a qualcuno della famiglia" con un diploma o una laurea, specificando che l'attribuzione dell'incarico non comportava l'obbligo di svolgere effettivamente la prestazione lavorativa. Mineo, invece, in cambio dell'appoggio di Bevilacqua, avrebbe promesso incarichi alla Regione. I due deputati si sono sempre detti estranei ai fatti contestati. "Sono amareggiato per la sentenza di condanna. Al di la' dei fatti contestati - rispetto ai quali ribadisco la mia totale estraneità - appare a dir poco paradossale che una mera ipotesi di accordo di natura politica - peraltro mai realizzatosi - oggi, nel nostro Paese, venga equiparata ad un reato". Lo afferma il deputato regionale Roberto Clemente. "Analogamente, secondo questa impostazione, tutti i candidati sindaci e i loro assessori designati, con le promesse di voto che realizzano - osserva - tra loro in questa campagna elettorale potranno essere passibili del reato di voto di scambio o corruzione elettorale. Confido nei successivi gradi di giudizio per dimostrare la validità delle mie ragioni e la mia innocenza. Attendiamo, dunque, il deposito delle motivazioni per proporre appello".