PALERMO. Per quasi dieci ore (dalle 15 alle 23 di ieri) sei “grillini”, indagati nella inchiesta sulle firme false per la presentazione della lista alle Comunali 2012, hanno raccontato la loro versione ai pm che lavorano sulla vicenda - l’aggiunto Dino Petralia e il sostituto Claudia Ferrari - e che hanno recentemente chiuso le indagini. A chiedere di parlare con il pm, prima della eventuale richiesta di rinvio a giudizio, sono stati i parlamentari nazionali dei M5S Riccardo Nuti, Giulia Di Vita e Claudia Mannino, Riccardo Ricciardi (marito della deputata Loredana Lupo), l’attivista Samantha Busalacchi e Pietro Salvino, attivista anche lui e marito di Claudia Mannino. Sono arrivati al palazzo di giustizia accompagnati dal loro avvocato Domenico Monteleone. Gli indagati hanno spiegato ai pm di non essere stati a conoscenza dei fatti di quella notte, contraddicendo in toto la versione della collega Claudia La Rocca, la prima a “confessare” i fatti, seguita dal deputato regionale Giorgio Ciaccio. I deputati hanno inoltre precisato che nei mesi precedenti alla presentazione delle liste c’erano stati dei problemi con altre firme raccolte. Sarebbe stato quindi messo in piedi un piccolo "processo" per capire le responsabilità e poi quelle firme non furono mai utilizzate. Secondo la versione di attivisti e politici che si sono presentati ieri dai pm, mai – proprio prendendo ad esempio l’episodio precedente - si sarebbe tollerata la riscrittura delle firme mancanti. Samantha Busalacchi, indicata come l’amanuense della vicenda, ha smentito di avere partecipato all’operazione di ricopiatura e ha messo in dubbio la perizia grafica che è stata eseguita prendendo tre lettere scritte da lei. Per l’avvocato Monteleone, secondo giurisprudenza acquisita, non sarebbero sufficienti quei documenti e in ogni caso la perizia parla di compatibilità e non di certezza dell’attribuzione della grafia. Diversa la versione della Procura che sostiene che Nuti ed un gruppo ristretto di attivisti come Samanta Busalacchi, Giulia Di Vita e Claudia Mannino, dopo essersi accorti che per un errore di compilazione le firme raccolte erano inutilizzabili ed era quindi a rischio la presentazione delle candidature, avrebbero deciso di fare ricopiare dalle originali le sottoscrizioni ricevute e corretto il vizio di forma. A 11 indagati i pm contestano la falsificazione materiale delle firme. A Nuti, per cui non c'è la prova della commissione del falso materiale, si imputa, invece, l'avere fatto uso delle sottoscrizioni ricopiate in quanto candidato sindaco di Palermo: l'ex capogruppo alla Camera è ritenuto l'ispiratore del piano. Il falso materiale riguarda Samanta Busalacchi, Giulia Di Vita, Claudia Mannino, Alice Pantaleone, Stefano Paradiso, Riccardo Ricciardi, Pietro Salvino, Tony Ferrara, Giuseppe Ippolito e i deputati regionali Giorgio Ciaccio e Claudia La Rocca. Il 13/o indagato, il cancelliere del tribunale Giovanni Scarpello, è accusato di avere dichiarato il falso affermando che erano state apposte in sua presenza firme che invece gli sarebbero state consegnate dai 5 Stelle. Reato di cui risponde in concorso con Francesco Menallo, avvocato ed esponente dei 5 Stelle che consegnò materialmente le firme al pubblico ufficiale per l'autenticazione. Un contributo fondamentale alla ricostruzione della vicenda e all'individuazione dei ruoli degli indagati è venuto dalle testimonianze di La Rocca e Ciaccio che hanno raccontato i giorni convulsi seguiti alla scoperta del vizio che avrebbe potuto invalidare le liste. Sono stati loro a riferire la decisione presa da Nuti e i suoi di ricopiarle. Importanti anche le testimonianze dell'attivista Vincenzo Pintagro e degli indagati Paradiso e Ippolito. La procura ha chiuso poi il cerchio ad una perizia grafica che avrebbe confermato la falsificazione di centinaia di firme.