PALERMO. La svolta nelle indagini sull’omicidio dell’avvocato di Vincenzo Fragalà è arrivata grazie alle dichiarazioni del collaboratore Francesco Chiarello che ha cominciato a parlare con i pm il 27 aprile del 2015. Già il 5 maggio è stata richiesta al gip la riapertura delle indagini. E’ lui che permetterà agli inquirenti di fugare ogni dubbio sull’identificazione di Antonino Siragusa e Salvatore Ingrassia, ripresi dalle telecamere la sera del delitto, e di individuare Paolo Coco e Francesco Castronovo, coinvolti secondo l’accusa nel delitto, e mai toccati dalle indagini prima. Chiarello ha detto di avere saputo delle intenzioni di Cosa nostra da Francesco Arcuri poche ore prima dell’agguato. “Perché dice ca chistu era un curnutu e sbirro. Senza spiegarci il motivo”, dice ai pm. "Doveva parlare più poco e non ci toccate né soldi e se ha oggetti, perché lui deve capire che non è una rapina, deve capire che deve parlare poco". La vicenda processuale che avrebbe determinato la concausa ultima e decisiva che ha scatenato la reazione punitiva di Cosa nostra sarebbe stata quella che lo vedeva come avvocato difensore di Salvatore Fiumefreddo e Vincenzo Marchese nel procedimento a carico di Antonino Rotolo, tra gli altri, storico boss di Cosa nostra. Il procedimento riguardava fittizie intestazioni per la gestione occulta del patrimonio dei Rotolo e dell’intero mandamento di Pagliarelli. Marchese e Fiumefreddo sarebbero stati dei prestanome di Rotolo. In uno dei pizzini scritti da Giovanni Nicchi e indirizzati a Raffaele Sasso (altro presunto prestanome di Rotolo) si parla di un soggetto “indegno” a causa delle dichiarazioni processuali che erano state riportate dalla stampa nel 2009 dove si diceva che Marchese e Fiumefreddo avevano confessato di essere entrati nel giro di prestanome del boss di Pagliarelli. Durante la sua arringa –avvenuta pochi giorni prima dell’agguato - tra l’altro Fragalà avrebbe più volte citato una lettera di Antonietta Sansone (moglie di Rotolo) a Marchese in cui si scusava per averlo coinvolto. Anche questo, secondo gli inquirenti, avrebbe contribuito a rafforzare la decisione di punire l’avvocato Fragalà. “L’aggressione all’avvocato Fragalà – scrive il gip Fernando Sestito nell’ordinanza – è stata deliberata per ragioni che l’organizzazione mafiosa ha ritenuto particolarmente gravi. Per punire condotte processuali che sono state ritenute del tutto incompatibili con l’interesse dell’organizzazione e pericolose, in particolare, per la salvaguardia di concreti e rilevanti interessi economici e , ancora prima, della fondamentale e irrinunciabile pretesa mafiosa alla salvaguardia delle regole dell’omertà e reciproca assistenza che caratterizzano la condotta di ogni associato nel momento del coinvolgimento in inchieste e giudiziarie. C’era il sempre più diffuso convincimento che Fragalà, nei procedimenti per reati di mafia si comportasse sempre più spesso da sbirro in particolare inducendo i suoi assistiti a violare la tradizionale regola del silenzio”.