PALERMO. «Corruzione e mafia vanno a braccetto, la corruzione è un male serio, radicato, ma c'è un risveglio delle coscienze che è la prova della reazione. Bisogna mettere in campo tutti gli strumenti. Purtroppo dopo Tangentopoli abbiamo ritenuto che molti problemi fossero superati e invece non era così». Lo ha detto il presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, a margine del convegno «Contro le mafie: a che punto siamo?» in corso nell’aula magna di Giurisprudenza dell’università di Palermo.
In sala sono presenti, tra gli altri, il ministro dell’Interno, Marco Minniti, il procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi, il rettore Fabrizio Micari, il sindaco Leoluca Orlando, il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone.
«Oggi sono molti gli strumenti di prevenzione, però appena si abbassa la guardia si ritorna punto e a capo - ha aggiunto Cantone - ci sono una serie di strumenti, ma il problema è tenere in vita un’azione di contrasto. In Sicilia l’Anac ha fatto diverse indagini, ad esempio sul settore della sanità o su quello dei rifiuti, ma va detto che la regione, almeno dal punto di vista normativo ha fatto dei passi avanti».
«Qui è nata la lotta alla mafia, è evidente che solo da qui poteva partire un approfondimento su questo tema». Così il presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, ha commentato l’avvio a Palermo di un protocollo siglato oggi tra l'ateneo e l’Anac e la presentazione del corso di alta formazione in «Amministrazione e Gestione dei beni e delle aziende confiscati».
"Questo è per noi un protocollo particolarmente importante - ha aggiunto Cantone - perché per la prima volta l’università crea delle professionalità che riguardano il settore dell’amministrazione dei beni confiscati e delle misure nuove di competenza dell’autorità anticorruzione che riguardano il commissariamento delle imprese. Il primo corso su questo lo farà l'Università di Palermo che ha un background molto significativo su questi temi».
"Oggi le mafie evitano di ricorrere alla violenza, tanto al centro-nord, quanto al centro-sud, anche perché è meglio ricorrere alla corruzione che non appare inaccettabile agli occhi della nostra società e non presuppone il ricorso alla violenza, quel 'mondo di mezzo' a cui ha fatto riferimento Carminati", ha detto il procuratore di Roma, Pignatone.
"La strategia dell'antimafia - ha aggiunto - deve essere quella di rompere la solidarietà e la convenienza di quel 'mondo altro' di allearsi con la mafia. Inoltre, va detto che al centro-nord non ci si può cullare dicendo che la mafia non esiste. La corruzione c'è sempre stata e la mafia vi ha sempre fatto ricorso. Il passo in avanti da fare oggi è ritenere che la corruzione non sia solo uno strumento per evitare la violenza ma, come ha detto la Cassazione, la forza intimidatoria del vincolo associativo può essere diretta tanto alla personale incolumità quanto a minacciare le essenziali condizioni esistenziali di determinate categorie economiche e soggetti". Il procuratore Pignatone ha poi tracciato un profilo storico sull'evoluzione di cosa nostra, aggiungendo che "in Sicilia lo Stato ha saputo reagire alla sfida mortale lanciata dalla mafia, sebbene ci siano state inefficienze e ritardi".
«Le mafie votano e fanno votare, il punto forte della politica deve essere un rifiuto netto e forte dei voti della mafia. Una democrazia in cui il voto viene condizionato dalle organizzazioni criminali e mafiose è una democrazia che ha in sé un elemento di fragilità. La politica non può aspettare soltanto l’attività giudiziaria, il compito fondamentale deve essere quello di prevenire, non aspettare che sia la magistratura a risolvere i problemi». Lo ha detto il ministro dell’Interno, Marco Minniti, intervenendo all’incontro intitolato «Contro le Mafie: a che punto siamo?» in corso nell’aula magna di Giurisprudenza a Palermo. In sala sono presenti, tra gli altri, il presidente Anac, Raffaele Cantone, il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone e il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi.
«Le mafie non possono essere considerate solo espressione di una parte del Paese, questa è un’idea antica, ampiamente superata. Le mafie sono un problema nazionale e internazionale. L’attività delle indagini ha rivelato che non ci sono territori vergini, gli unici territori impermeabili alle mafie sono quelli presidiati dalle istituzioni e dall’opinione pubblica». Lo ha detto il ministro dell’Interno, Marco Minniti. «Oggi la ndrangheta ha il profilo del player nazionale e internazionale - ha aggiunto il ministro - sia per la sua centralità nel traffico di stupefacenti che per la sua capacità di infiltrarsi come mafia imprenditrice».
«Se dovessimo fare un bilancio dell’azione dello Stato contro le mafie dovremmo dire che è straordinario, perché sia Cosa nostra che le altre mafie hanno subito colpi inimmaginabili: l’elenco dei latitanti è drasticamente diminuito, esponenti di spicco sono al 41bis, l'attacco ai patrimoni, cuore economico delle organizzazioni mafiose, è stato messo a dura prova e abbiamo fatto dei passi in avanti sulla consapevolezza del fenomeno. Se dovessi dire, però, cosa manca e quale è il punto di fragilità direi che è l'incontro tra questa risposta e un radicato movimento popolare contro le mafie». «Il punto cruciale - ha proseguito il ministro - è tenere alto il livello di attacco dello Stato italiano e contemporaneamente costruire una cultura credibile e radicata dell’antimafia. Il nostro obiettivo non è contenere le mafie, ma sconfiggerle definitivamente».
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