PALERMO. L'ultimo allarme è stato intercettato poco più di un mese fa, quando un mafioso, parlando in auto con la moglie, non sapendo delle microspie piazzate dagli investigatori, le raccomandava di non andare al circolo frequentato dal pm Nino Di Matteo. «Perchè - le diceva - lo devono ammazzare». Un episodio che ha indotto il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi a scrivere al Consiglio Superiore della Magistratura che ha riaperto la pratica per il trasferimento d'ufficio per motivi di sicurezza già avviato un anno fa. Convocato a Palazzo dei Marescialli, però, il magistrato ha deciso di non lasciare Palermo rifiutando la proposta dei consiglieri di andare alla Direzione Nazionale Antimafia, incarico a cui Di Matteo aspira da un po' e per il quale ha già fatto due domande. «Non sono disponibile al trasferimento d'ufficio - ha detto -. Accettare un trasferimento con una procedura straordinaria connessa solo a ragioni di sicurezza costituirebbe a mio avviso un segnale di resa personale ed istituzionale che non intendo dare». Insomma l'intenzione di andar via resta, ma senza scorciatoie. «La mia aspirazione professionale di continuare a lavorare sulla criminalità organizzata trasferendomi alla Dna si realizzerà eventualmente solo se e quando sarò nominato in esito a una ordinaria procedura concorsuale», spiega il pm del processo sulla trattativa Stato-mafia. E una possibilità di trasferirsi a Roma, alla Direzione Nazionale, potrebbe arrivare nei prossimi mesi, quando si terrà il concorso per la copertura di cinque posti di sostituto procuratore. L'allarme sicurezza per il magistrato è alto da anni. Tanto da indurre il Viminale a predisporre a sua tutela un sistema di sorveglianza record dotato del bomb jammer, un dispositivo che neutralizza le attivazioni a distanza dei telecomandi. A far salire la tensione furono le parole del boss Totò Riina che, nel 2014, intercettato in carcere, disse di volergli far fare «la fine del tonno». Poi arrivarono le rivelazioni del pentito Vito Galatolo che parlò dell'acquisto di un carico di tritolo da usare per un attentato a Di Matteo. Una situazione grave che oggi ha spinto il Csm a tentare con insistenza di convincere il pm a lasciare Palermo, nonostante le norme vietino il trasferimento d'urgenza per incarichi superiori quale sarebbe il posto da pm della Dna. Ostacolo che a Palazzo dei Marescialli avrebbero superato nel caso fosse arrivato il sì del magistrato. «Quella di Di Matteo è una situazione che ci dà molta preoccupazione», dice Elisabetta Alberti Casellati, presidente della Terza Commissione del Csm. «È per questo che lo abbiamo ascoltato due volte in venti giorni, perchè riflettesse su questa pericolosità alta. Anche oggi abbiamo manifestato la nostra forte e unanime preoccupazione. Ma la sua risposta è di indisponibilità al trasferimento per ragioni di sicurezza perchè sembrerebbe un segnale di resa che non vuole dare». Di Matteo ha infatti scelto il concorso e le vie ordinarie. Gli è andata male la prima volta, quando il Consiglio gli ha preferito altri tre colleghi, decisione che Di Matteo ha impugnato davanti al Tar. A breve, forse entro la fine dell'anno, si conosceranno le sorti del pm della trattativa.