ROMA. Le sue ultime dichiarazioni pubbliche, seguite alla morte di uno dei capi storici di Cosa nostra, erano state nette: «gli onesti di Corleone si tolgono dalle spalle un pezzo di storia criminale che è stata rappresentata dal boss Bernardo Provenzano». Una sorta di appello da parte del sindaco a chiudere con un passato ingombrante rivolto ai suoi concittadini, gli abitanti di un paese diventato tristemente famoso nel mondo per aver dato i natali a boss di prima grandezza: dal medico Michele Navarra, a Luciano Liggio, Bernardo Provenzano e Totò Riina.
I «viddani», i contadini, li chiamavano i mafiosi di città, i palermitani che, nella guerra con i paesani persero la guida di Cosa nostra. Ora Lea Savona, sindaco di Corleone eletto alle ultime amministrative con una lista civica di centrodestra, dovrà fare le valigie: costretta a lasciare dalla decisione del Consiglio dei Ministri, su proposta del ministro dell'Interno Alfano, di sciogliere per infiltrazioni mafiose il Comune, insieme a quello di Tropea (Vibo Valentia), Bovalino (Reggio Calabria) e Arzano (Napoli).
"Il presidente della Regione Siciliana Crocetta - si legge nel comunicato del Consiglio dei ministri -, invitato a partecipare a norma dello Statuto speciale della Sicilia ma nell'impossibilità di partecipare, ha comunicato il proprio assenso allo scioglimento di Corleone".
Una «sentenza» in qualche modo annunciata dalla dichiarazione fatta a gennaio dallo stesso Alfano che rese noto l'accesso agli atti del Comune. L'accesso - spiegò lo stesso sindaco per nulla sorpresa - riguardava l'assegnazione di alcuni appalti come quello relativo alla costruzione di un impianto polivalente nei pressi del campo sportivo.
La gara finì all'attenzione della Procura di Palermo che arrestò un dipendente comunale, Antonio Di Marco, indicato dagli inquirenti come il nuovo capo mandamento. Di Marco, custode del campo sportivo, dove si sarebbero svolti anche summit di mafia, in alcune intercettazioni avrebbe fatto riferimento alla possibilità di fare pressioni presso gli uffici comunali per pilotare i lavori.
«Nessuno immaginava - osservò allora il sindaco - che questo dipendente comunale potesse essere colluso». Ma nel fascicolo della dda finì anche il fratello del primo cittadino, Giovanni Savona. Il capo famiglia di Chiusa Sclafani, Vincenzo Pellitteri, non sapendo di essere intercettato, diceva è «un grande amico nostro, solo che lui è allacciato con Mario». Dove Mario era Mario Grizzaffi, fedelissimo di Totò Riina e fratello del boss Giovanni.
Dopo l'accesso agli atti fu la volta delle commissioni Antimafia nazionale e regionale. La Savona, che anni fa vinse anche il premio intitolato alla memoria del giudice Paolo Borsellino, venne ascoltata dall'Antimafia regionale. «Avrò peccato di leggerezza, inesperienza, di qualche sbavatura, ma non posso essere considerata vicina ad ambienti mafiosi. Rinnegherei il nome che porto e mi dissocerei dalla mia stessa famiglia se mio fratello fosse coinvolto in qualche organizzazione», disse a conclusione dell'audizione.
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