Giallo su sparatoria allo Zen, i poliziotti confermano loro tesi. Il gip: "Una messa in scena"
PALERMO. Per il giudice non c’è dubbio: “il conflitto a fuoco non ha avuto luogo”. Eppure gli agenti della polizia Francesco Elia e Alessandra Salamone continuano a ribadire la loro versione di quello che sarebbe successo il 16 marzo dello scorso anno, quando alla centrale arriva la comunicazione di un inseguimento per le vie dello Zen. Questa mattina i due sono stati interrogati dal gip Maria Pino che aveva disposto gli arresti domiciliari. Anche oggi i poliziotti hanno raccontato i fatti come fecero, presentandosi spontaneamente all’autorità giudiziaria, a maggio dello scorso anno: un’auto che procedeva a zig zag, nella rotonda di via Lanza di Scalea, poi la fuga e l’inseguimento, fino alla sparatoria in pieno Zen. Per il gip “è accertato che, nel confluire da via Scordia in via San Nicola, alle 18.15 del 16 marzo, l’autovettura Fiat Bravo della polizia a bordo della quale c’erano gli odierni indagati non è mai stata preceduta da un veicolo di marca Hyunday modello Atos di colore grigio”. Le spiegazioni date dagli agenti, per il giudice, “non sono plausibili e compatibili con i riferimenti temporali inerenti agli accadimenti successivi”. Anche gli accertamenti balistici convergerebbero verso l’ipotesi di calunnia, secondo il gip. Per il perito Galuco Angeletti, consulente del pm, il proiettile che colpì l’autovettura della polizia fu sparato da 6-8 metri e non 40 come riferito dai poliziotti. “E’ una consulenza priva di qualsiasi carattere scientifico”, dice l’avvocato degli agenti Antonino Zanghì. “Il proiettile – spiega, annunciando una perizia di parte – è stato sparato da almeno 15-20 metri. Una distanza compatibile con la versione dei miei assistiti, inoltre non è possibile che Elia si sia sparato causandosi una ferita come quella che aveva sul braccio”. Dopo la sparatoria, fu arrestato un giovane rom rimasto in carcere 59 giorni. E’ ormai acclarato che Roberto Milankovic (per altro non riconosciuto dagli agenti dopo il suo arresto) non sparò ai due poliziotti innescando quel far west che sconvolse il pomeriggio degli agenti e degli abitanti della zona: è infatti a processo ma solo per resistenza a pubblico ufficiale. Durante le indagini è infatti caduta l'accusa di tentato omicidio. Il giallo comunque non ha ancora una soluzione. Il gip è convinto che “le contraddizioni evidenziate, gli aggiustamenti progressivamente operati, le inverosimili ipotesi alternative prospettate validano ulteriormente la fondatezza dell’accusa confermando il convincimento circa l’integrale artificiosità della rappresentazione resa dagli indagati”. E il movente? “Gli indagati – dice il giudice – hanno concertato e realizzato una attività delittuosa articolata al fine di conseguire visibilità e benefici nell’ambito dell’amministrazione pubblica di appartenenza. La simulazione del conflitto a fuoco è stata realizzata mediante un atto di autolesionismo e adoperando beni dei quali gli indagati avevano disponibilità”. Anche questo, secondo Zangì, è “assurdo” così come è “sproporzionata la misura cautelare”. Per il gip, “Il pericolo di reiterazione criminosa è grave ed è attuale”.