PALERMO. Militari del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Palermo hanno sequestrato beni per un valore di oltre 15 milioni all'imprenditore Francesco Paolo Alaima, di 82 anni. Sigilli sono stati posti a oltre 100 tra immobili e terreni, 3 imprese, 21 rapporti finanziari, con disponibilità liquide pari a circa 900 mila euro, e a 5 autovetture. Il provvedimento è stato emesso dalla sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo, presieduta da Giacomo Montalbano, su proposta del Procuratore aggiunto Bernardo Petralia e del sostituto Daniela Varone, vistata dal procuratore Francesco Lo Voi.
L'attività scaturisce da una proposta formulata dal Gico nei confronti del noto costruttore e immobiliarista Alamia, originario di Villabate, ritenuto «socialmente pericoloso alla luce del particolare ruolo svolto in passato di imprenditore agli ordini della criminalità, pur non essendo stato mai condannato per associazione di stampo mafioso».
Alamia, ricostruisce la guardia di finanza, era considerato negli anni '70 ed '80, «socio e prestanome di Vito Ciancimino», nonchè «vicino ad uno dei più spietati killer di Cosa nostra, Pino Greco di Ciaculli». In quegli anni, è stato azionista di controllo e rappresentante legale della storica «Inim - Internazionale Immobiliare S.p.A.», costituita a Palermo nel 1976 e poi trasferita a Milano, allora considerata «il terzo gruppo italiano in campo immobiliare».
La società, ricordano le Fiamme gialle, «si è occupata dell' acquisto di grandi aziende fallite (e dei relativi pregiati terreni, resi edificabili) in Lombardia, Piemonte e Lazio, allo scopo di preordinare grandi operazioni di speculazione immobiliare ad alto tasso d'utile». Nei primi anni '80, Alamia è stato indicato dagli indagati Filippo Alberto Rapisarda, Rocco Remo Morgano, Gioacchino Pennino e Tullio Cannella come «soggetto che, pur non essendo formalmente affiliato a Cosa Nostra, era uno degli imprenditori di riferimento dei mafiosi Provenzano, Riina e Ciancimino».
A seguito delle dichiarazioni rese negli anni '90 dal figlio di quest'ultimo, Massimo Ciancimino, Alamia è stato indagato per il reato di associazione mafiosa, nell'ambito di un procedimento in cui è stato rinviato a giudizio, e successivamente condannato, Marcello Dell'Utri. In anni più recenti di lui parlano Massimo Ciancimino e Francesco Campanella nell'ambito delle indagini relative alla scomparsa dell'imprenditore Antonio Maiorana e di suo figlio, avvenuta nell'agosto del 2007. L'imprenditore non è stato mai condannato per associazione mafiosa, ma la Procura di Palermo ritiene dimostrata la sua vicinanza, in passato, alla criminalità.
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