PALERMO. «Ho qualche dubbio che Abrini sia l'uomo col cappello della strage all'aeroporto di Bruxelles e prenderei con le molle le sue dichiarazioni. Continuo a sorprendermi di come in Belgio, dopo la cattura di uno jihadista, le istituzioni si affrettino ad annunciare che il fermato sta parlando. E, senza alcuna verifica, rendano pubblico cosa sta dicendo». Marco Lombardi, il docente di Sociologia che all'Università Cattolica di Milano dirige l'Osservatorio sul terrorismo «Itstime», mette in guardia da proclami e illusioni: «Ho già visto esultare troppo presto dopo la cattura di Salah Abdeslam (uno degli autori del massacro del 13 novembre a Parigi, ndr). Subito, noi scrivemmo che non era finito nulla, anzi tutto stava iniziando. Dopo quattro giorni, infatti, si verificarono gli attentati a Bruxelles». Belgio, Francia: trincee della guerra jihadista in Europa? «Sì. Sono trincee per molte ragioni. Lo sono innanzitutto perchè Belgio e Francia sono i luoghi di maggiore produzione di foreign fighters per il Daesh in Europa. Mohamed Abrini, peraltro, ha dichiarato che era pronto un nuovo attacco a Parigi e che la cattura di Salah fece cambiare piani, ai danni di Bruxelles. Ripeto, però, che queste sono tutte affermazioni da controllare attentamente». Quanto è alto il rischio che l'Isis voglia vendicare con nuovi attentati i recenti arresti in Belgio? «Non parlerei di vendetta. A me pare che l'Isis sia ancora più pericoloso, perchè i suoi attentati non vogliono vendicare nessuno. L'autore di un attacco terrorista è, per il Daesh, un martire. È un soggetto che potremo definire "consumabile". Bruxelles è stato colpita non tanto per ritorsione dopo la cattura di Salah, ma perchè Salah eventualmente poteva far scoprire alcuni piani in corso». Italia sinora risparmiata. Fortuna? «In termini statistici, la maggior parte dei Paesi europei è stata risparmiata. Attualmente, sono stati colpiti solo alcuni stati. Se andiamo indietro di quindici anni, il numero aumenta e dobbiamo includere anche Gran Bretagna e Spagna, Danimarca e Germania, ma per adesso la minaccia è diffusa e localizzata. Detto questo, però, evitiamo di ricorrere al termine fortuna perchè fa sentire sicuri. Poniamoci, piuttosto, la domanda sul perchè Daesh stia mirando alcune nazioni e non altre. Ricordiamo, inoltre, la buona competenza delle istituzioni italiane nel rendere sicuro il nostro Paese». A proposito. Il procuratore nazionale antiterrorismo, Franco Roberti, ha lanciato in queste ore l'allarme sulla possibile «conversione jihadista» di minori in cella nel nostro Paese. I fondamentalisti riusciranno pure in Italia e in Europa, alla pari di Africa e Medio Oriente, a usare ragazzini come bombe umane? «Domanda drammatica. È possibile, ma molto meno probabile. I minori sono risorse umane deboli che, evidentemente, si possono irretire. Ciò che accade in tutta la regione Mena (Medio Oriente e Nord Africa, ndr), però, attiene a un sistema sociale molto diverso da quello europeo. Mi riferisco in primo luogo alla scuola, che è un luogo importantissimo di prevenzione rispetto alla radicalizzazione dei minori. La scolarizzazione dei migranti è fondamentale, ma anche lo sviluppo di nuove competenze nei maestri perchè prestino attenzione a cambiamenti, derive, comportamenti dei loro alunni e siano in grado di aiutarli qualora dovessero trovarsi in difficoltà». Traffici di droga e di migranti. Anche queste sono fonti di finanziamento dei gruppi fondamentalisti? «Sicuro. Nella guerra ibrida, è ormai consolidata la connessione fra gruppi terroristici e trafficanti di persone, armi, medicinali, droga. È così, soprattutto, nell'area africana dove le formazioni fondamentaliste forniscono servizi di sicurezza ai trafficanti. Proprio per questo, non si può escludere che riescano a trovare passaggi verso l'Europa i miliziani di ritorno dal Daesh, abbondante manodopera per la criminalità quando non sono ricollocati in formazioni combattenti nel Nord Africa». Contro boss dei barconi e contrabbandieri di armi, molti analisti chiedono da tempo che l'Unione Europea disponga un blocco navale nel Mediterraneo. Perchè non se ne fa nulla? «Il blocco navale può essere fatto, ma è pur sempre una dichiarazione effimera. I migranti vanno soccorsi comunque e non è detto che il barcone trasporti solo persone. La lotta ai trafficanti va fatta, ma sulla terraferma». La Ue, intanto, non riesce a varare neppure misure concordate: Registro passeggeri aerei e Agenzia comunitaria dei servizi di sicurezza. Altra prova di debolezza delle istituzioni continentali? «Un'enorme prova di debolezza! Continuo a dire che l'Europa o vive unita o muore frammentata. Bisogna affrontare una situazione storica completamente diversa dal passato che richiede misure eccezionali. E bisogna farlo tutti insieme. Una politica di sicurezza comunitaria è fondamentale, eppure molti credono che facendo muri da soli si possa sopravvivere». In Siria tiene la tregua tra Bashar al-Assad e il Consiglio dell'Opposizione, in Libia si è insediato a Tripoli il governo di unità nazionale. Segnali concreti di speranza? «Qualcosa è cambiato, a livello internazionale. I russi hanno dinamizzato lo scenario, costringendo in Siria le diverse coalizioni a rendersi conto di quanto stava avvenendo. È positivo che queste cose durino, ma hanno piedi di argilla. Le nostre speranze si consolidano, quanto più la tregua resiste. O quanto più il governo tripolino mantiene la sua credibilità. Dobbiamo, però, essere consapevoli che in ventiquattr'ore tutto può cambiare». Il patriarca della Chiesa ortodossa siriaca, Ignazio Aphrem II, ha denunciato un'altra strage di cristiani commessa dai «tagliagole» del Califfato nella città di Al-Qaryatayn, a 120 chilometri da Palmira. Siamo destinati a convivere con l'incubo dello scontro di civiltà? «Il Califfato è solo un gruppo terroristico, non rappresenta una civiltà. Né rappresenta l'Islam. Il Daesh va duramente combattuto in quanto formazione che usa il terrore contro le minoranze religiose perchè vuole accreditarsi come l'Islam. Ma non lo è. Stiamo attenti a non cadere nella loro trappola!».