PALERMO. Unisce le punte di pollice e indice, formando un cerchio: sembra un «ok», invece Salvatore Taormina vuole dire un’altra parola. «Zero». Risponde così, il grossista di carne, alla domanda sul numero di clienti che gli sono rimasti dopo avere subito ed essersi rifiutato di cedere alle estorsioni dei mafiosi di Resuttana.
Anziano, ben vestito, capelli bianchi, spessi occhiali di tartaruga da astigmatico, Taormina guarda dritto davanti a sé, mentre risponde alle domande in tribunale e ogni parola del testimone è un atto d’accusa, pronunciato senza timore nei confronti degli imputati, che lo ascoltano dentro le gabbie, in religioso e attento silenzio, come i parenti che affollano l’aula di corte d’assise, in cui tiene udienza la quarta sezione del tribunale.
La vittima del racket parla al processo Apocalisse, dopo la deposizione della figlia, Stefania Taormina, ex amministratrice di società ormai quasi tutte decotte, dopo le denunce e la forte contrapposizione ai boss, decisa dagli imprenditori con l’appoggio di Addiopizzo e Libero Futuro, che li assistono pure in dibattimento come parti civili, con gli avvocati Salvatore Forello e Valerio D’Antoni. Lei oggi non vive più in Italia e fa un altro lavoro. Non per paura: forse solo per disgusto.
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