PALERMO. Era depressa da mesi, taciturna, triste: così Salvatore Pilato descrive la figlia Valentina, la giovane donna accusata di avere gettato nel cassonetto e ucciso, a novembre del 2014, la figlia appena partorita. La ragazza, accusata di omicidio aggravato, è detenuta da quasi un anno e ha ascoltato la deposizione del padre, salito sul banco dei testi davanti alla corte d'assise di Palermo che celebra il processo. L'uomo, citato dal pm, ha raccontato che la sera prima del delitto la figlia non riusciva a prendere sonno, tanto che più volte andò in camera sua per sapere se qualcosa non andava. Era preoccupato perché da mesi la vedeva diversa ed era andato a prenderla a Gemona, dove viveva col marito e altri due bambini, per portarla a Palermo. La Pilato si sarebbe dovuta trasferite nel capoluogo. Nessuno sapeva che aspettava il terzo bambino. Aveva nascosto a tutti la gravidanza. "L'avevamo vista più in carne - ha detto - e le avevamo chiesto se fosse in stato di gravidanza, ma aveva negato". La mattina successiva, quella dell'omicidio, Pilato uscì di casa per andare al lavoro, la moglie lo chiamò poco dopo dicendo che Valentina era scesa con un borsone. Lui le raccomandò di seguirla perché temeva potesse fare una sciocchezza visto che aveva già tentato il suicidio. Invece la donna, che aveva partorito da sola - così ha raccontato - aveva messo la neonata, viva, nel borsone ed era andata a disfarsene. Solo incalzata dal fratello del marito, chiamato perché, dopo la visita dei carabinieri che avevano trovato la bimba morta, i genitori avevano cominciato a sospettare, Valentina Pilato ha ammesso che la piccola fosse sua. "Aiutatemi", avrebbe detto al cognato. La donna si è sempre difesa sostenendo di essersi spaventata temendo che la bambina fosse nata morta e di averla buttata nel cassonetto in preda al panico. Alla scorsa udienza hanno deposto i periti dei giudici che hanno sostenuto che l'imputata aveva un disturbo di adattamento che non avrebbe inficiato però la sua capacità di intendere e di volere.