PALERMO. Durante il periodo in cui era stato nominato amministratore giudiziario di un'azienda sequestrata alla mafia, tra il 2004 ed il 2007 - secondo le tesi della Procura di Palermo si sarebbe impossessato indebitamente di quasi 150 mila euro, destinati invece a pagare le spese sostenute dalla ditta.
Per questo ieri Angelo Giuseppe Caruso, un libero professionista palermitano, è stato condannato per peculato alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione. Il processo si è svolto con il rito abbreviato davanti al gup Nicola Aiello, che ha negato all'imputato, difeso dall'avvocato Nino Zanghì, la sospensione della pena: Caruso che dal 2007 non fa più l'amministratore giudiziario - ha infatti un precedente specifico, cioè in passato ha già patteggiato una pena per lo stesso reato e sempre in relazione alla gestione di un'azienda sottoposta a misura di prevenzione.
Nel processo, l'attuale amministrazione giudiziaria - perché l'azienda, a undici anni di distanza, è ancora sotto sequestro - si è costituita parte civile e il gup le ha riconosciuto il pagamento delle spese processuali, mentre ha rimandato al tribunale civile un'eventuale quantificazione del danno.
La difesa preannuncia il ricorso in appello e sostiene che Caruso sarebbe stato condannato «senza alcuna prova», visto che il denaro mancante non è mai stato ritrovato. Né sui conti dell'imputato, ma neppure altrove. Come si può dunque sostenere - dice in soldoni l'avvocato Zanghì - che Caruso se ne sia appropriato?
L'inchiesta - precedente (e di molto) alla bufera che ha in queste ultime settimane investito la sezione delle misure di prevenzione del tribunale di Palermo - è stata coordinata dal sostituto procuratore Gaetano Guardì. Nel 2004, dopo il sequestro da parte della guardia di finanza della «Shoppers and Paper» di via Mn, 9, nella zona di corso Calatafimi, Caruso viene nominato amministratore giudiziario. Un incarico che gli sarà revocato dal tribunale a settembre del 2007. Al suo posto entra Alessandro Scimeca che, dopo una serie di controlli, avrebbe scoperto delle irregolarità nella contabilità relativa al periodo precedente. Nello specifico, secondo quanto Scimeca fa presente al tribunale e che finisce al centro dell'inchiesta, sarebbero mancati all'appello ben 233.723 euro. Assegni e bonifici in uscita, ma che sarebbero stati privi di causale.
Subito Caruso avrebbe restituito 85 mila euro, sostenendo che sarebbero finiti sui suoi conti o comunque su quelli di persone a lui molto vicine «per un errore»: al momento dei pagamenti, avrebbe confuso i libretti degli assegni della ditta con i suoi. E da qui il pasticcio. Ma ad oggi - alla fine del processo di primo grado dei restanti 148.723 euro non vi sarebbe traccia. Per l'accusa, se ne sarebbe impossessato Caruso. Per la difesa potrebbero addirittura non essere mai esistiti: mancherebbero i documenti che comproverebbero queste uscite.
E, sempre secondo l'avvocato Zanghì, sarebbe stato opportuno fare ulteriori indagini, cercando i fornitori dell' azienda, verificando il pagamento degli stipendi e dei contributi dei dipendenti. Il giudice ha disposto due perizie durante il processo: una contabile, che dimostrerebbe l'ammanco, pur senza riuscire a stabilire dove siano finiti i soldi, ed una grafologica, che avrebbe stabilito come gli assegni al centro dell'inchiesta fossero stati effettivamente firmati da Caruso (il dubbio sarebbe rimasto solo in quattro casi). Da qui la condanna a un anno e quattro mesi per Caruso.
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