PALERMO. Per i sodali era «il papà». Per tutti gli altri, Vincenzo De Lisi è un 49enne come tanti, residente ad Altarello e impiegato dell’ex Gesip, partecipata del Comune chiusa per fallimento. Secondo la ricostruzione della procura, l’uomo sarebbe stato il leader carismatico della banda di truffatori delle carte di credito clonate in giro per il mondo. Un personaggio da rispettare, di cui avere timore. O almeno questo si legge nelle pagine del provvedimento — firmato dal procuratore Francesco Lo Voi e dal sostituto Siro De Flammineis — che due giorni fa ha portato al fermo di 24 persone accusate di ricettazione, riciclaggio e utilizzo indebito di codici di carte di pagamento. L’organizzazione falsificava i codici cifrati delle tessere magnetiche di ignare vittime per intascare i soldi. Da Singapore agli Emirati Arabi, fino a Hong Kong. C’erano hacker russi e rumeni in contatto con disoccupati palermitani. Il raggiro si basava su noleggi di auto con società fittizie. La gente pagava un servizio inesistente. Tre milioni di euro i proventi della truffa. E l’ombra di contatti con la mafia. Organigramma e appellativi emergono dalle intercettazioni dei poliziotti della squadra mobile. De Lisi, detto Enzo, parente di Gregorio Palazzotto (arrestato nel giugno dell’anno scorso nell’ambito dell’operazione «Apocalisse» per associazione mafiosa finalizzata all’estorsione e rapina), per gli inquirenti poteva contare su un potere sugli altri componenti della banda frutto della soggezione psicologica che incuteva. DAL GIORNALE DI SICILIA DELL'1 OTTOBRE 2015