PALERMO. L’iter amministrativo che ha portato all’istituzione del Parco Cassarà sarebbe costellato di falsi e di omissioni. E sarebbe anche per questo che, secondo la Procura, quello che avrebbe dovuto essere un immenso polmone verde (coi suoi 28 ettari secondo solo alla Favorita) si sarebbe poi rivelato come un’enorme discarica di rifiuti speciali e pericolosi. Le indagini — coordinate dal procuratore aggiunto Dino Petralia e dal sostituto Alessandro Clemente — dopo il sequestro del parco, avvenuto ad aprile dell’anno scorso, sono ormai agli sgoccioli. E sono dodici le persone, tra privati e dipendenti comunali, che a breve riceveranno un avviso di garanzia per rispondere a vario titolo di falso, di discarica abusiva, di omessa bonifica e di disastro ambientale. Con la chiusura dell’inchiesta, inoltre, i pm stanno valutando di riconsegnare al Comune — ma solo per la bonifica — anche la parte restante del parco (in una fetta di terreno sono già in corso i lavori di pulizia). Perché l’area possa riaprire al pubblico, però, passerà ancora del tempo: a questo punto dipenderà solo dalle scelte dell’amministrazione e dalla velocità con la quale affiderà l’ulteriore intervento di bonifica. Secondo una stima compiuta da uno dei consulenti della Procura, servirebbe qualcosa come un milione e mezzo per rimuovere ogni traccia di inquinamento. Il Parco Cassarà — fortemente voluto dall’ex sindaco Diego Cammarata — sorge su un’area che per anni è stata lasciata nel degrado e dove sono state scaricate tonnellate di rifiuti (dal materiale di risulta alle lastre in eternit, ma ci sono anche scarti industriali, di verniciatura, sabbie inquinate, olii esausti). Per la riqualificazione, però, come emerge dalle indagini, non sarebbero state rispettate tutte le prescrizioni in materia ambientale.