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Dopo l'inchiesta la comunità musulmana di Villabate: «No alla caccia alle streghe»

La comunità finita nel mirino della Procura respinge le accuse di aiuti ai combattenti: «Terroristi? Arrestateli e gettate la chiave. Noi non c’entriamo nulla»

VILLABATE. Quaranta controlli non meglio «indentificati» nella notte ed una caccia alle streghe dai contorni che con l’alba restano ancora più sfumati. La comunità islamica di Villabate, circa trecento famiglie, e la sua moschea sono sotto il tiro incrociato della giustizia e dell’inquilino della porta accanto, ora più sospettoso e intollerante con quel vicino che finora si era limitato ad ignorare.

Episodi di razzismo, discriminazioni sul lavoro, un operaio algerino con le gambe rotte perchè ha osato chiedere il salario concordato, un altro licenziato perchè pretendeva addirittura la liquidazione. Solo lo stipendio, e devi pure ringraziare. È una catena già conosciuta e non è certo una novità sentirsi un cittadino di serie B, il diverso, lo straniero. Ma l’incursione dei terroristi nel cuore dell’Europa è una ferita che si allarga sempre di più e, come la faglia di un terremoto, inghiotte anni di difficile tessitura di rapporti tra culture. Ed è proprio l’integrazione, già sogno quasi proibito, a diventare il paradiso perduto.

 

«Sembrerà banale, ma lo vedi già al supermercato - dice Zaher Darwish, palestinese, arrivato qui 30 anni fa - Ti fanno entrare, certo, ma poi ti squadrano e se si capisce che sei «di fuori» ti danno del tu. Agli altri del lei, a te quel rispetto viene negato dal colore della pelle e dai tuoi tratti somatici. C’è un atteggiamento generale che vede nell’immigrato il figlio di un Dio minore». L’indagine della Procura era scattata il 9 gennaio, dopo i fatti di Parigi. Sulla moschea erano calate le ombre della «propaganda islamica», oltre a disegnarla come una sorta di segreteria clandestina sforna-documenti per i combattenti della jihad. Situazione che, secondo i servizi segreti, sarebbe andata avanti già dal 2007, senza però risvolti giudiziari.

«Se ci sono terroristi nelle nostre moschee - dice Darwish che è presidente dell’Arca e responsabile immigrati della Cgil - devono arrestarli e buttare la chiave, perchè i primi ad assere danneggiati dalle loro azioni terribili siamo noi. Ma la messa sotto accusa di tutta la comunità è eccessiva e ingenerosa. Io stesso sono stato chiamato per vicende legate al mio ruolo nel sindacato dai carabinieri, gentilissimi per carità. Ma hanno voluto sapere tutto di me, da dove venivo, che lavoro facevo, la mia famiglia. Ci devono essere motivi fondati per controllare le persone, se no è un’intimidazione».

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