Palermo

Lunedì 25 Novembre 2024

Il testimone: «La mazza, il sangue, la fuga. Così ho visto morire Fragalà»

PALERMO. Il bastone, che forse era il piede di un tavolino. Enzo Fragalà colpito, che cadeva per terra, veniva risollevato «con due dita» dal suo aggressore e veniva di nuovo bastonato, tre, quattro volte. Il volto di quell’uomo: «Un extracomunitario, o forse no, forse era solo abbronzato, sudato per lo sforzo che stava facendo». Le auto che non si fermavano. La gente che si affacciava alle finestre. Un’esecuzione fredda, feroce, brutale, durata «un quarto d’ora». Fino al rumore sinistro, finale, di qualcosa che si fracassa: «Pensammo che si fosse rotto il bastone. Ma non era il bastone». Parla per la prima volta in pubblico ed è un racconto agghiacciante, che per oltre mezz’ora tiene altissima l’attenzione in aula. Chissà se Maurizio Cappello, testimone oculare dell’omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà, deporrà mai in un dibattimento per l’aggressione del 23 febbraio 2010, culminata nella morte del penalista, avvenuta tre giorni dopo in ospedale: ieri infatti l’anziano pensionato, ex dipendente del ministero della Giustizia, ha testimoniato in un processo per diffamazione, mentre sulla vicenda Fragalà pende una richiesta di archiviazione contro il presunto aggressore, Francesco Arcuri, e contro due presunti componenti del commando, Antonino Siragusa e Salvatore Ingrassia. Cappello quella sera era in giro col suo cagnolino, nella zona del palazzo di giustizia, a pochi passi dallo studio Fragalà. : «Era una bella serata, la pioggia arrivò soltanto dopo, molto dopo, a cose fatte (e cancellò molte tracce, ndr). Passai per via Nicolò Turrisi, piazza Vittorio Emanuele Orlando, dove c’erano extracomunitari che giocavano a pallone». L’uomo incontra un conoscente, «un ragazzo, credo un extracomunitario pure lui, cioè, più che conoscerci fra di noi si conoscevano i nostri cani». Succede tutto all’improvviso. Il testimone ha fissato nella memoria l’orario, «le 20.25», anche se la presunta durata dell’agguato, «un quarto d’ora», cozza con i dati oggettivi individuati dai carabinieri, che limitano tutto a pochi minuti: «Ero di nuovo in via Turrisi, con quel ragazzo e abbiamo visto due persone vicine, accanto, abbiamo sentito rumore, ci siamo avvicinati...». In testa l’aggressore aveva un casco nero, «ma senza visiera, si vedeva in volto, perché era alla luce di una videoteca. In mano teneva un bastone lungo circa 80 centimetri. Aveva delle scanalature, a me sembrò il piede di un tavolino. Era con quello che colpiva l’uomo che era con lui». Fragalà, Cappello lo conosceva, ma nell’immediato non lo riconobbe. «Nessuno dei due parlava, l’aggressore non diceva una parola e nemmeno la sua vittima, che cadeva per terra e quello lo prendeva con due dita, lo risollevava, tornava a colpirlo, quello cadeva di nuovo e di nuovo veniva rimesso in piedi». Preciso, quasi maniacale, il teste: «Era alto tra 1,75 e 1,80. Era poco più alto di quel ragazzo che era con me, che è 1,72. Indossava un bomber e scarpe nere, che dovevano avere la suola di gomma, perché quando scappò non sentimmo niente. Noi ci avvicinammo, con quel ragazzo, gli chiedemmo “che succede?”, gli gridammo “fermati, fermati!”, ma lui ci rispondeva con un gesto delle mani, come per dire, “ma che volete?” e continuava con le bastonate. Era tutto sudato, sembrava un extracomunitario, ma forse era abbronzato, non lo so: comunque era scuro in volto. Cercammo di fermare le macchine di passaggio, ma tutti proseguivano per la loro strada. Sentivamo i colpi, fino a quando non sentimmo un crac. Pensammo si fosse rotto il bastone, ma il bastone era intatto: si era rotto qualcos’altro». I due testimoni prendono il coraggio a due mani: «Non pensai cosa avrebbe potuto fare pure a noi...», ma l’assassino è disorientato, allontana sgomitando i due che gli si avvicinano, porta con sé il bastone. «Se ne andò verso la scuola Nicolò Turrisi, girò l’angolo, sentimmo cadere il bastone (in realtà mai ritrovato, ndr). Poi ci avvicinammo a Fragalà. Era tutto insanguinato. Ci fu uno che gli chiese: “Enzo, sei tu?”. E io: “Ha bisogno di qualcosa?”. “Sì, devo andare in bagno”. Ma poi si accasciò». Cappello insiste su un particolare: «Siccome lo sollevava facilmente, l’assassino, siccome l’avvocato non faceva resistenza, pensai che si conoscessero». Il giudice davanti al quale si svolge il processo, Riccardo Corleo, si sofferma su questo particolare: «Detta così non è logica; in base a cosa dice tutto questo, che i due si conoscessero?». Ma Cappello non sa rispondere: «Ritiro quello che ho detto, è una mia deduzione».

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