PALERMO. Ha comprato la casa confiscata a un’impresa di due mafiosi, voleva rivenderla ma si è accorto che non solo non potrà farlo, ma anche che è destinato a perderla: Paride B., 35 anni, ha speso 230 mila euro, nel 2010, per acquistare l’appartamento che abita, in viale Michelangelo, ma quell’immobile appartiene al patrimonio dello Stato e non gli poteva essere venduto. Inutile dunque anche il tentativo di rivenderlo: il proprietario ha provato a far cancellare le trascrizioni, ma le sentenze che hanno trasferito all’Erario la proprietà di quell’abitazione di 109 metri quadrati non si possono far venire meno. Un caso che non è unico e potrebbe riguardare molte altre persone che hanno comprato beni dalla stessa azienda mafiosa.
Il piccolo proprietario, assistito dall’avvocato Giuseppe Carbonaro si era presentato come il classico acquirente di buona fede, ma il gip Lorenzo Matassa ha respinto la sua istanza di cancellazione delle trascrizioni, affermando un principio che potenzialmente non lascia scampo: «Non può essere oggetto di cessione ciò che ormai fa parte del patrimonio indisponibile dello Stato».
Il pasticcio che ha visto come vittima Paride B. comincia con la procedura esecutiva portata avanti ai danni della Costruzioni Mimosa srl, appartenente a Luigi Corso, 70 anni, e al figlio Giampaolo, di 42. Il bene era stato prima sequestrato e poi confiscato (la sentenza che rende definitivo il provvedimento risale al 5 novembre 1999 ed è della quarta sezione della Corte d’appello) nell’ambito di un’inchiesta per mafia sulla famiglia mafiosa ritenuta predominante a Santa Maria di Gesù: Gioacchino «Ino» Corso e il fratello Gianpaolo erano stati individuati infatti come referenti di Pietro Aglieri, il capomafia a lungo latitante, catturato il 6 giugno del 1997 a Bagheria. E in seguito i Corso furono coinvolti in una serie di altre indagini sulle attività di Cosa nostra, riportando altre condanne.
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