PALERMO. Il Comitato Provinciale per la Sicurezza Pubblica ha potenziato le misure di sicurezza per il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato. La decisione è stata presa dopo la scoperta che nelle immagini delle videocamere del suo ufficio mancavano proprio quelle dei giorni in cui si era verificata una delle intimidazioni.
Le intimidazioni subite da Scarpinato - tra le quali una pesante lettera di minacce fatta trovare sulla scrivania del suo ufficio al palazzo di giustizia di Palermo e una scritta lasciata su una porta davanti alla stanza del magistrato - hanno indotto gli inquirenti a visionare le immagini delle videocamere che si trovano nel corridoio della Procura generale.
I tecnici si sono immediatamente accorti che mancavano le riprese relative a 10 giorni su 15 (la memoria dell'impianto è tarata per riprendere per due settimane). Al momento della visione dei file, poi, un'altra sorpresa: tutto sparito tranne 24 ore di riprese. Completamente cancellate le registrazioni dei giorni che interessavano agli inquirenti: quelli in cui qualcuno è entrato in tribunale e, indisturbato, ha lasciato la scritta intimidatoria sulla porta.
Nelle scorse settimane, dopo la lettera intimidatoria ricevuta dal procuratore generale Roberto Scarpinato, una missiva anonima era stata lasciata sulla scrivania dell'ufficio del magistrato che ne è entrato in possesso il 3 settembre, al rientro dalle ferie.
Ad allarmare gli inquirenti sono in particolare i toni e i contenuti dell'anonimo che fa pensare più a quelle «menti raffinatissime» di cui parlò Giovanni Falcone dopo il fallito attentato dell'Addaura, che a una matrice mafiosa. Chi scrive mostra di conoscere in modo approfondito abitudini e luoghi frequentati da Scarpinato arrivando a descrivere con precisione anche particolari delle sue abitazioni.
L'anonimo, poi, che usa un linguaggio forbito e a tratti ossequioso, è a conoscenza delle attività investigative avviate dal procuratore generale che - evento anomalo per un pg - seguirà personalmente il processo d'appello al generale dei carabinieri Mario Mori, accusato e assolto in primo grado dall'accusa di favoreggiamento alla mafia.
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