Angelo Duro è «la fine del mondo»: nel suo film satira nuda e cruda sul conflitto generazionale
«Lei spara?», chiede il tassista col pallino della caccia. «No - risponde laconico il passeggero -, io uso le parole. Fanno più male». Si presenta così Angelo, incontenibile forza della natura che spazza (e spiazza) tutto ciò che trova sul suo cammino. A cominciare dalla sorella Anna, che alla vigilia delle ferie nell’azzurro mare d’agosto implora la pecora nera di occuparsi degli anziani genitori, Franco e Rita, con la speranza di addolcire il brutto carattere del fratello e permettergli di recuperare il tempo perduto con mamma e papà. Premessa apocalittica per il comico palermitano Angelo Duro, con Io sono la fine del mondo nelle sale da questo giovedì (9 gennaio), prodotto da Indiana Production in collaborazione con Sky e distribuito da Vision Distribution e Universal Pictures. Dietro la macchina da presa Gennaro Nunziante (ha tenuto a battesimo cinematografico Fabio Rovazzi e la coppia Pio e Amedeo oltre a registrare incassi da capogiro per ben quattro volte con Checco Zalone) che segue per le vie notturne di Roma e le strade assolate di Palermo il ragazzo terribile, autore di feroci dispetti ai danni di Giorgio Colangeli (Franco), Matilde Piana (Rita), Evelyn Famà (Anna) e Marilù Pipitone (qui nel ruolo della dottoressa Marta dopo aver recitato ne Il giudice e il boss di Pasquale Scimeca e La bocca dell’anima di Giuseppe Carleo). Che sia piazza Marina o il quartiere della Kalsa - più una breve parentesi al cimitero di Sant’Orsola - nessuno sfugge alle cattivissime sentenze di Angelo, un’infanzia segnata dal rigore paterno che scatena una vendetta a lungo meditata, senza esclusione di colpi bassi, generando equivoci e apprensioni dove però si riscontrano momenti di inaspettata tenerezza (vedere per credere) e la platea si ritrova a ridere amaro come non succedeva da tempo. Satira nuda e cruda sul conflitto generazionale che comprende le precarietà relazionali, il mancato passaggio del testimone sul piano etico e morale, l’aderenza a un nichilismo di stampo postmoderno che funge da ancora di salvezza in un mondo sempre più complicato e difficile, la fine del mondo incarnata da Duro sfonda le barriere del politicamente corretto e delle comfort zones svelando ipocrisie celate negli abissi dell’animo umano, smaschera con destrezza un diffuso perbenismo di facciata, non fa sconti a nessuna categoria (sociale, religiosa, politica) e batte con fragore il martello sul banco del giudice emanando la sua grottesca, irresistibile sentenza. Farà certamente discutere, ma non si può negare che la pellicola colpisca nel segno per la sua natura aliena tra gli attuali titoli in cartellone e l’indiscreto fascino di un antieroe dal volto di cherubino.