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Dario Aita, un attore palermitano nel nuovo film di Sorrentino: «Sono l'amore giovanile della protagonista Parthenope»

Il regista racconta che è la sua prima opera con al centro della storia una donna. «Dopo nove personaggi maschili bisognava cambiare». Nel cast, fra gli altri, Celeste Dalla Porta, Stefania Sandrelli, Isabella Ferrari e Silvio Orlando

È un tributo a Napoli, e Parthenope è la sua musa. Immersa nel mare e pronta a scoprire la vita, la giovane protagonista del nuovo film di Paolo Sorrentino attraversa cinquant’anni di vita, con inevitabili sliding doors. E nella prima parte della sua esistenza, quando è ancora poco più che adolescente, ha un giovane amico, che poi diventa un amore: Sandrino, leggero, complice, mediterraneo dove lei è quasi eterea. Lo interpreta l’attore palermitano Dario Aita (nella foto), viso noto di diverse fiction, da L’allieva della Gazzola, a La mafia uccide solo d’estate di Pif, fino a Don Matteo. Anche tanto cinema, da Il giorno e la notte di Daniele Vicari e una delle commedie noir del lockdown, State a casa di Roan Johnson, a Primadonna di Marta Savina.

«Il primo atto del film è racchiuso in un’eterna estate tra il golfo di Napoli e Capri – spiega Dario Aita, che dal 29 gennaio sarà in scena con Giuseppe Scoditti, diretti da Roberto Rustioni ne Il calapranzi di Harold Pinter, nuova produzione del Teatro Biondo di Palermo -. Il mio Sandrino si inserisce all’interno di un rapporto a tre, con Parthenope e Raimondo: Sandrino è cresciuto con loro, è legato da un profondo affetto ai due fratelli tra i quali corrono energie misteriose e inestricabili; lui è il terzo polo, lo specchio in cui si riflettono, uno straniero con cui non entreranno mai in conflitto».

Il film non racconta solo un’estate, ma una vita intera. «Sono gli anni spensierati - riprende Aita - dove hai la sensazione di immortalità tipica della giovinezza; i tre ragazzi avviano un gioco pericoloso che in questa estate sarà determinante. Lo sguardo di Sandrino è quello del testimone, dell’osservatore di una relazione che a un certo punto si esaurisce». Paolo Sorrentino è un regista attento, meticoloso, ma lontano dalla realtà. Il trentasettenne attore palermitano rileva che «le narrazioni di tutti i film sono in prosa, quelle di Paolo sembrano invece in versi. Paolo è un regista poetico: è faticoso lavorare con lui perché bisogna entrare a monte in un immaginario sconosciuto; ma una volta entrati, farai tuo il suo sogno che spesso non è lineare, ma sottile e ha che fare con i sentimenti. Ecco, con Paolo devi trovare una sintonia elettiva con il regista sennò non funziona».

Secondo lo stesso Sorrentino, il film è «apparentemente ambizioso ma in realtà semplice, un film epico e sentimentale sulle tappe della vita», come spiega presentando l'opera, che dopo il concorso al festival di Cannes e le anteprime sold out, arriva in ben 500 sale da giovedì 24 ottobre, con la nuova distribuzione PiperFilm. «In gioventù - prosegue il regista - ci si abbandona e se si è fortunati non dico che arrivi alla felicità ma puoi provare picchi estatici, poi quando si diventa adulti senti la responsabilità e anziché abbandonarti hai la vaga percezione che la vita ti stia abbandonando. Da più grande provi a vedere la vita ma è lei che non ti vede e ti volta le spalle». Il personaggio protagonista, interpretato da Celeste Dalla Porta e sul finale da Stefania Sandrelli, attraversa tutte queste fasi, con spregiudicatezza e in sintonia con le contraddizioni della città che abita, Napoli, e che rappresenta. «È il primo film con una donna al centro finalmente. Dopo nove con protagonisti maschili bisognava cambiare se non altro per una questione di noia - ironizza -. E poi il ruolo principale rispecchia una selvaggia vitalità e mi piace immaginare che siano caratteristiche femminili». Ma il regista non ha scoperto niente di nuovo sul femminile. «Ho solo altre domande - dice -. C’è un errore di fondo quando ad un film come ad un libro si chiede di dare risposte, in casi patologici si chiede addirittura un messaggio. Non sono queste le funzioni del cinema: le domande piuttosto che le risposte. Io sono affascinato dai dubbi».

Parthenope, un ideale seguito di È stata la mano di Dio, racconta una storia di gioventù che Sorrentino non ha vissuto: «Ho scritto il film attingendo a zone anonime del mio io. Mi lega a Parthenope un’idea di libertà. La protagonista non si allontana mai da questa bussola che è la libertà, che riesce a frequentare favorita anche da una città che è libera, poco giudicante, per niente perbenista». Il film è ricco, visivamente e narrativamente, come nello stile di Paolo Sorrentino che concepisce il cinema come fantasia, immaginazione al potere. «Camus diceva “la verità è noiosa”. Mi fanno fare un film solo se non sono noioso, sono condannato a non dire il vero, il che non significa non raggiungere attraverso un film delle verità ma sono verità più profonde che hanno a che fare con la vergogna, il senso del pudore. La verità vera è imbarazzante».

Il film è anche la storia degli incontri di Parthenope, l’amore ragazzino, il fratello suicida e poi con il professore interpretato da Silvio Orlando («un film con lui è come vincere un’esperienza di freeclymbing!»), con l’attrice ex bellissima Isabella Ferrari («Ho sentito spessissimo il pregiudizio della bellezza, non nego di aver sentito rancore per molti anni della mia vita e la maschera che indossa Flora Malva nel film mi ha aiutato molto, perché per una attrice non guardarsi allo specchio, non vedere le rughe del tempo passato, è una grande libertà»), con il laido Tesorone vescovo del Tesoro di San Gennaro interpretato da un grandissimo Peppe Lanzetta, con la rancorosa diva Luisa Ranieri («Sophia Loren non c’entra niente, nel personaggio di Greta Cool c’è l’archetipo di una star al tramonto»), con lo scrittore Gary Oldman. E su tutto e in tutto c’è Napoli, «una città che resiste a tutto e che conserva una identità imprecisa e unica e resta sempre libera». Dice Stefania Sandrelli, la Parthenope ormai anziana alla fine del film: «Il tempo passa - sospira - ma a me piace talmente tanto vivere. Sono esagerata in tutto, vorrei vivere 250 anni, ma sono felice di chiudere la mia carriera artistica con Sorrentino dopo averla cominciata con Germi».

Sorrentino, nel corso della presentazione del film, ha fatto gli auguri a Maura Delpero il cui Vermiglio, premiato con Leone d’argento a Venezia, è stato designato dall’Italia nella corsa all’Oscar. «Sono felicissimo che vada Vermiglio che è un bellissimo film. Io ho già fatto due volte l’esperienza, la prima indimenticabile per La Grande Bellezza, e sono francamente anche sollevato perché è anche qualcosa di faticoso e impegnativo e io sono pigrissimo. È giusto così, che vada qualcuno più giovane e motivato, c'è un momento per tutto», ribadisce.

Si augura Sorrentino che il film «emozioni, commuova, che venga visto senza filtri, mi auguro che lo vedano i giovani, mi farebbe tanto piacere». Scritto e diretto dal Premio Oscar della Grande Bellezza è un film Fremantle, una co-produzione italo-francese The Apartment (società del gruppo Fremantle) - Pathé, in associazione con Numero 10, in associazione con PiperFilm, con Saint Laurent by Anthony Vaccarello. In America uscirà a febbraio con la prestigiosa A24.

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