Gli inizi di Totò Schillaci all'Amat: il Messina lo pagò 35 milioni di lire e così lo strappò al Palermo
Si resta attoniti quando finisce una vita, a maggior ragione quando la vita spezzata è quella di una persona di cui nel mondo del pallone si è visto muovere i primi passi. La morte di Totò Schillaci ha lasciato sgomenti molti protagonisti del calcio dilettantistico palermitano La sua carriera ha avuto inizio all’Amat, presidente il compianto Gaetano Ferruzza, che all’epoca giocava nel campo che portava il nome di Enrico, zio del presidente. Ora è il Ribolla. Il suo arrivo, dicono due ex giocatori della squadra aziendale di allora, Enzo Culella e Giuseppe Ferrante, nonché Enzo Ferrotta, che era il gestore del campo, avvenne quando mister Mario Falanga, famoso portiere degli anni Cinquanta e primo allenatore di Totò, organizzò una partita di ragazzini nella piazza alle spalle del Teatro Massimo. Con dei paletti fece le due porte, ad ogni bambino distribuì come completino una muta di diverso colore e compose le squadre. Si capì subito che Schillaci aveva il talento e la stoffa del calciatore. Subito Falanga contattò il padre Mimmo e gli propose un provino all’Amat. Totò Schillaci si presentò al campo Ferruzza, mano nella mano con il papà, dal tecnico Riccardo Morfino, che lo fece esordire negli aquilotti o Nagc (Nucleo addestramento giovani calciatori). La trafila fu velocissima. Dagli esordienti, anche se a lui mancavano alcuni mesi prima di compiere 12 anni, fino gli Under 20 passando per gli allievi allenati da mister Angelo Chianello, che lo consacrarono. «Ogni volta che terminava l’allenamento - dicono entrambi - ci fermavamo nel campo piccolo adiacente a quello grande ad ammirare Totò che già all’epoca si mostrava un vero portento». All’Amat non giocò in prima squadra, forse solo due presenze per lui. Il debutto in Promozione, infatti, non avvenne mai, come racconta Enzo Culella: «Allenavo la prima squadra dell’Amat ed era una domenica del 1988 in cui eravamo di scena a Cattolica Eraclea. Avevo l’attacco decimato da infortuni e squalifiche, ma il presidente Ferruzza non volle sentire ragioni e prestarmi Schillaci, che era stato già ingaggiato dal Messina, per paura che si infortunasse». Totò Schillaci, infatti, era stato venduto alla squadra peloritana, che superò nella trattativa il Palermo, per 35 milioni delle vecchie lire tramite il tecnico della rappresentativa di allora Mario De Luca, che lo segnalò al Messina con cui aveva buoni rapporti. Lì a Messina arrivarono con un treno direttamente da Palermo, lui e Carmelo Mancuso, quest’ultimo fluidificante sinistro, classe 1965. «Era un ragazzo buono e umile – dichiara Mancuso -. Stava sempre sul pezzo e cercava di migliorarsi ma alcune doti gli erano innate. Con la palla tra i piedi era uno dei migliori e ricordo quando mister Chianello in una partita mi chiese di fermarlo in qualunque modo o quando a Messina Franco Scoglio diede indicazioni a tutti, ma a Totò disse "fai quello che sai fare", perché Schillaci aveva un estro fuori dal comune. Arrivammo a Messina per giocare nella Beretti, ma dopo la preparazione estiva il tecnico Alfredo Ballarò si accorse del nostro talento e ci fece esordire in prima squadra. Abbiamo vissuto insieme quella breve epoca. Per controllarci meglio ci mandarono entrambi a vivere in una pensione. Lì la nostra amicizia si è rafforzata perché Totò era di animo buono e disposto all’ascolto». Ad accoglierli un altro palermitano, il difensore Nicola Napoli, da due stagioni in riva allo Stretto e grande amico di Totò. «Era forte e bravo – dice Napoli -. Si vedeva che avrebbe fatto carriera. Sapeva giocare per la squadra e si mise subito in mostra, segnando e giocando bene. Lo conoscevo già da Palermo e il nostro rapporto – prosegue – si rinsaldò alla Juventus. Lì spesi buone parole per lui con la dirigenza e fu ingaggiato. Abitavamo vicino, la dirigenza prese in affitto un intero attico per noi». In queste ore sono tanti i compagni di squadra dell’epoca a cui passano per la mente un ricordo o un’emozione dei tempi trascorsi con Schillaci nelle giovanili dell’Amat. Ciro Aurelio, ala destra e amico personale della famiglia Schillaci, dice: «Ricorderò per sempre prima l’uomo e poi il calciatore. Era il nostro amico in campo, per noi era Totò. Aveva carisma, ma anche umiltà, mai che rimproverasse qualcuno. Una volta al termine di una gara a Licata, durante una lite, prese una bandierina per difendere noi compagni. Era unico». Nella foto una vecchia squadra giovanile dell'Amat: Totò Schillaci è tra gli accosciati, il secondo da sinistra