Se il coronavirus non ci si metterà di mezzo i festeggiamenti per la vittoria di campionato cui il Palermo si sta avvicinando, arriveranno fino a New York. Al momento il governatore Andrew Cuomo ha proclamato lo stato d'emergenza dopo la prima serie di contagi. Ma il progetto (barra sogno) di Tony Di Piazza è lì che aspetta puntellato di dettagli: portare tutta la squadra al Mitchel Field per un incontro-evento con i New York Cosmos. Una cosa del genere non accade ai rosanero da oltre quarant'anni, se si eccettua un invito ai due giocatori Gasbarroni e Accardi, ospitati dall'Associazione culturale italiana di New York nel 2004 dopo la promozione in Serie A. Li volle proprio Tony Di Piazza che della ACINY è chairman. Pianificatore all'americana, il vicepresidente del Palermo ha cambiato le sue abitudini da quando ha investito nell'avventura rosanero. Sveglia alle quattro del mattino nella sua sontuosa villa di Howard Beach nel Queens degli italo-americani che hanno fatto fortuna e vogliono abitare dove sono cresciuti e dove hanno costruito patrimoni e un identitarismo bilingue. Casa Di Piazza si affaccia su un boulevard come una mini white house che modifica la tinta in grigio perla, ha il colonnato sul prospetto, la porta centrale, un grande backyard (cortile e giardino) e lo spazio per parcheggiare una Bentley blu con targa personalizzata che cita l'Italia campione del mondo. Tony e il suo orgoglio. Tony, l'America e una bella quota del Palermo calcio guidato assieme al presidente Dario Mirri, accudito con Gianluca Paparesta, Renzo Castagnini, Rinaldo Sagramola, il dream team che sorregge la stagione più anomala e sognatrice dei rosanero. La sveglia a prova di fuso orario serve a questo, a parlare con loro. In casa c'è uno studio, un pc con un'aquila sul desktop. All'alba i collegamenti si fanno da lì. «Concentro le attività nelle prime ore del mattino così posso parlare con l'Italia e poi dedicarmi agli altri affari», racconta Di Piazza. Il resto conta molto d'altronde ed è il tesoro costruito dagli anni Ottanta in poi con un'impresa di real estate, in inglese si definisce così il settore immobiliare. Investimenti riusciti in Queens e a Brooklyn e un gioiello di famiglia, l'Hotel Belleza a Miami Beach. Fortuna di un siciliano nativo di San Giuseppe Jato, cresciuto in Svizzera e diventato adulto negli States. Accanto a lui da quasi quarantacinque anni la moglie Nella, pugliese di Bari (stessa città da cui proviene l'amico Paparesta) padrona di casa hundred per cent (100%). Nulla di pittoresco nello stile di vita di casa Di Piazza e semmai grande memoria e concretezza cui si mischia molta ironia meridionale. Nella ha il controllo assoluto della mini white house proprio perché il passato non si dimentica: «Abbiamo cominciato con poco, Tony aveva un gruppo musicale e altri due o tre lavori - così piace ricordare a Nella - avevamo anche aperto un negozio in cui vendevamo bomboniere e lo gestivo personalmente mentre mio marito si divideva fra le sue altre attività». Anni duri per una coppia di immigrati italiani che si è formata come tante altre: una festa da ballo, lui giovane musicista, lei una bella ragazza in libertà vigilata da cugine e parenti. «Ci si conosceva una sera, si veniva presentati e da allora non ci si allontanava più», piace dire a Tony. Frank e Antoinette sono i loro due figli. Tutti e due quarantenni, quattro nipoti: Giulia, Anthony, Alessia e Alessandra. La passione per il Palermo ha via via contagiato anche Frank, laureato alla New York University, avvocato e curatore dei business di famiglia. In casa foto di tutti, appese o incorniciate. La musica c'entra molto in questa storia, Di Piazza si è mantenuto a lungo suonando la tastiera alle feste e alle nozze di tanti italo-americani. Poi ha aggiunto altri mestieri fino all'acquisto del primo «mattone», poi il secondo, poi il terzo e poi avanti fino alla realizzazione del sogno di ogni vero self-made-man (il papà faceva il muratore, gli ha impartito i principi della fatica e non l'ha di certo strafinanziato). La tastiera è finita in soffitta, le belle canzoni no perché Tony Di Piazza ne va pazzo e ne ha fatto il suo secondo sogno realizzato, il festival New York Canta che si tiene ogni anno prima del Columbus Day celebrato con solennità il 12 ottobre. È una gara, «assomiglia un po' a Sanremo - dice Tony e gli occhi chiari gli brillano - i concorrenti sono italiani ma anche sudamericani, canadesi, degli stessi Usa». Per l'edizione 2020, Tony pensa già ad avere ospite Al Bano, avendo già invitato in passato sul palcoscenico dei teatri newyorchesi Patty Pravo, Fausto Leali, Arisa. Di Piazza multitasking, incontenibile anche per la moglie alla quale viene da chiedere se è sempre d'accordo quando mette un bel po' del suo denaro in un'avventura sportiva in Sicilia. La risposta è saggia e venata di un sorriso di contenimento: «Lo sa anche lui che c'è un rischio in tutto questo ma ha deciso che dopo una vita di lavoro, può concedersi di realizzare questo altro sogno, non posso che fidarmi», dice Nella. E lo dice una donna che dirige la cura di una spaziosa residenza, che lucida i cristalli di un gigantesco lampadario che si cala fino a terra grazie ad un telecomando, che fa sali e scendi da una scala a due rampe che è di per sé uno status symbol e che mantiene luccicante una seconda casa nel seminterrato perché è bello avere tutti (ma tutti) i parenti del Queens e non solo, alle feste più sentite, il Thanskgiving, il Natale, l'Indipendence Day. Lusso, american dream e moderazione, si tengono in equilibrio ad Howard Beach. Dove, manco a dirlo, si è infilata anche un po' di Hollywood. Lì dove tutto può succedere, un emissario è stato spedito in Queens. Il cinema, credeteci, si è spinto di fronte a Manhattan del tutto casualmente. Il volto di Nella Di Piazza si illumina quando racconta che un giorno il din don del campanello l'ha distolta dalle sue cose. Aprendo s'è trovata davanti un giovanotto: «Mi ha detto “cerchiamo una casa come questa per girare un film di Spike Lee”. Rimasi sorpresa e d'istinto gli dissi “ripassi, troverà il padrone di casa, io mi occupo delle pulizie”», spiritosa e un pizzico diffidente Nella. «Quel giovanotto era uno scout, si chiamano così i procacciatori di location», spiega Tony che poi lo incontrò e disse di sì. E in Queens arrivarono Monica Bellucci, John Turturro e ovviamente il regista afroamericano. Fu girato nel 2004 «Lei mi odia» (She hate me, senza la s della terza persona e non si sa perché). Tony ha vissuto pochissimo nella sua nazione ma si esprime in un italiano forbito, misura le parole ma non come un siciliano ambiguo: quando parla del Palermo lo fa con chiarezza: «Il progetto, lo confermo, possibilmente costerà un po' più del previsto. Ne parliamo con Mirri - dice - di certo non dovremo restare in Serie C più di un anno, questo è un obiettivo che dobbiamo centrare». Moderato e prudente anche quando parla dei tifosi, Tony. Con loro si confronta molto. La sua pagina Facebook è zeppa di post e scambi. «Palermo ha 600 mila allenatori - scherza - ma sia chiaro hanno diritto a dire la loro. E noi ascoltiamo». Chissà, forse l'uomo d'affari tirerebbe dritto su certi temi ma la squadra va e allora non c'è tempo né voglia di sfruculiare. «La stagione è da record - dice il vicepresidente del Palermo - Gli innesti di gennaio sono stati ottimi. La squadra ha un'ossatura robusta. Non ci si può lamentare di Pergolizzi. I risultati si vedono, dobbiamo pensare a uscire subito dalla Serie D e andare avanti spediti». Il terzo sogno di Tony si chiama Palermo in Serie A.