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Mafia nel settore del calcestruzzo, sequestro da 4 milioni e mezzo a imprenditore di Borgetto

PALERMO. Maxi sequestro effettuato dalla Guardia di Finanza di Palermo nei confronti di un  imprenditore 51enne originario di Borgetto, Benedetto Valenza, già tratto in  arresto dai carabinieri di Partinico nell'aprile 2014 unitamente ad altri  soggetti in quanto ritenuti responsabili a vario titolo di concorso nella  fittizia intestazione di una società di calcestruzzi. Per gli inquirenti,  infatti, l’imprenditore avrebbe gestito da anni in maniera indiscussa il  settore del calcestruzzo nella zona di Partinico e dintorni. Le Fiamme Gialle  hanno provveduto ad acquisire quote societarie, un complesso aziendale, quattro  fabbricati, tre terreni, due autoveicoli e disponibilità finanziarie del valore  complessivo di € 4.501.278,04, in esecuzione di un provvedimento emesso dal  Tribunale di Palermo – Sezione Misure di Prevenzione, su richiesta della locale  Procura della Repubblica. Insieme all'uomo sono finiti in carcere i due  presunti prestanome, amministratori e soci della società gestita da Valenza,  tenendo conto che molti imprenditori di Palermo e della provincia trapanese si  rivolgevano allo stesso per effettuare ordini di materiale e per concordare il  prezzo e il trasporto delle forniture, come emerso nel corso delle indagini.  Per cercare di sviare i militari il soggetto si era fatto assumere in una ditta  di Partinico, attiva nel commercio del ferro, materiale indispensabile nella  lavorazione del calcestruzzo. Valenza, ritenuto contiguo alle famiglie mafiose  di Borgetto e Partinico e gravato da diversi precedenti penali e di  prevenzione, era stato arrestato anche nel 2009 e nel 2012, insieme a diversi  imprenditori, operanti nel settore della produzione e trasporto di  calcestruzzo, ritenuti anch’essi suoi prestanome, in quanto privi di autonomia  gestionale e di contrattazione con clienti e fornitori. Con questo  provvedimento di sequestro sono stati acquisiti i possedimenti dell'uomo  successivi alle precedenti misure cautelari o sfuggite ai procedimenti di  prevenzione instaurati nei suoi confronti. Le indagini hanno permesso di  dimostrare la manifesta sproporzione tra il valore dei suddetti beni e la  capacità reddituale dell’imprenditore colpito dal provvedimento, considerati  anche i lunghi periodi di detenzione, tali da non consentire la possibilità di  acquisire le risorse finanziarie idonee ad avviare autonomamente nuove attività  commerciali. Tali disponibilità, dunque, sono da considerarsi frutto di  attività illecite o di reimpiego dei relativi proventi.

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