PALERMO. Da un lato c’è la mappa aggiornata del potere in uno dei mandamenti storici della provincia di Palermo, dall’altro la scoperta – una novità assoluta – di un organo direttivo capace di sostituire la Commissione tanto cara a Totò Riina e di deliberare decisioni importanti, strategie, nuove nomine e perfino omicidi. In mezzo – in mezzo ad attentati, minacce e faide tra clan rivali – ci sono decine di estorsioni (44 in tutto tra tentate e consumate) e un numero consistente di imprenditori e commercianti che ha deciso di denunciare e di contribuire ad inchiodare i suoi taglieggiatori. È uno spaccato inquietante e per certi versi inedito, quello ricostruito dai carabinieri del comando provinciale, guidato dal colonnello Pierangelo Iannotti, che all’alba di oggi hanno eseguito 31 fermi da Bagheria a Villabate, passando per Altavilla Milicia, Ficarazzi e Casteldaccia.
Poco meno di un anno di indagini, una mole impressionante di intercettazioni, pedinamenti, migliaia di pagine di trascrizioni e decine di verbali riempiti dagli ultimi due pentiti di peso del clan, il killer Sergio Rosario Flamia e il geometra Vincenzo Gennaro. Sono i numeri dell’inchiesta, coordinata dalla Procura e denominata “Reset”, proprio perché ha portato all’azzeramento di un intero mandamento. Capi, sottocapi, reggenti “operativi” e “strategici”, capidecina, gregari ma anche semplici soldati: ci sono voluti quasi 500 uomini, stanotte, per eseguire i fermi disposti in grande fretta dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci e dai pm Francesca Mazzocco e Caterina Malagoli per scongiurare il pericolo di fuga, il rischio di altri fatti di sangue e per allentare la morsa degli estorsori sulle attività commerciali e sulle imprese della zona.
Le accuse sono, a vario titolo, di associazione mafiosa, omicidio, sequestro di persona, estorsione, rapina, detenzione illecita di armi da fuoco e danneggiamento a seguito di incendio.
I militari, guidati sul campo dai colonnelli Salvatore Altavilla ed Enrico Scandone, in un colpo solo hanno messo le mani sul braccio operativo del clan e su quella che viene definita la “testa dell’acqua”, un anziano boss del calibro di Nicolò Greco, che dal 2004 sarebbe stato il capo assoluto del mandamento. Le sue parole – e di conseguenza i suoi ordini – non si potevano e non si dovevano discutere. Così come non si poteva discutere la necessità di tenerlo fuori dai guai. E lui, che era considerato da tutti la fonte del potere, in questo modo è riuscito a comandare per almeno dieci anni evitando una mezza dozzina di retate.
In manette, ma c’era da aspettarselo, è finito anche Antonino Messicati Vitale, rientrato in Italia da pochi mesi (dopo una breve latitanza a Bali, dove era stato individuato e arrestato) e scarcerato per un cavillo. Tra i fermati ci sono pure Carlo Guttadauro, Giuseppe Di Fiore, Giovanni Pietro Flamia, Salvatore Lo Piparo, Giovanni Di Salvo, Michele Modica ed Emanuele Cecala, questi ultimi ritenuti responsabili anche di alcuni fatti di sangue.
Durante le indagini i carabinieri hanno filmato incontri e riunioni, hanno ripreso passaggi di pizzini, avvertimenti e persino attentati incendiari. Gli investigatori hanno fatto luce pure su tre delitti – l’agguato in cui venne rapito e poi ucciso Antonino Canu, risalente al 27 gennaio 2006, il tentato omicidio di Nicasio Salerno, del 23 agosto 2005 e la lupara bianca di Andrea Cottone, scomparso nel nulla il 13 novembre 2002 – quattro danneggiamenti a seguito di incendio, una rapina e una tentata rapina. Quattro, invece, i progetti di rapina sventati grazie all’intervento “preventivo” dei carabinieri.
Ulteriori particolari dell’operazione saranno resi noti nel corso di una conferenza stampa che si terrà alle 10.30 presso la palazzina “M” del Tribunale di Palermo.