PALERMO. Al contrario di quanto cantava Fabrizio De Andrè nella celebre «Bocca di Rosa», il mestiere della prostituta, nel capoluogo, nessuna sembra farlo per «passione». Tutto il contrario. Chi, per strada e in casa, vende se stessa, non lo fa per libera scelta, ma perché costretta da gente senza scrupoli e dalle circostanze della vita che a volte non lasciano scampo. Ogni corpo ha il proprio valore, ogni prestazione il suo prezzo.
C’è un tariffario ben definito, ovviamente trattabile. Si parte da trenta euro per chi va di fretta e si accontenta di poco, un «servizio» in strada senza troppe pretese. È il prezzo base, meno di qui non si può scendere. Si sale ad almeno cinquanta euro per chi invece alla strada preferisce un’accogliente «casa». La qualità lì sale, e anche la sicurezza: quella di non essere beccati. Poi ci sono le «professioniste», ragazze bellissime, per lo più sudamericane, che lavorano in centro città: la spesa sale ad almeno 200 euro, e non si parla di «prestazioni» ma di ore. Una notte intera, tanto per capirci, può costare anche più di 1.000 euro. La realtà della prostituzione nel capoluogo è questa, e sta cambiando. Lo dicono i dati, lo dice la Questura, che opera in giro per la città. Una novità su tutte: le «squillo» per strada sono sempre meno, ma solo perché si stanno spostando dentro le case. La denuncia era arrivata qualche giorno fa da due religiosi che si battono per i diritti e l'integrazione dei migranti, il pastore Vivian Wiwoloku, a capo dell'associazione «il Pellegrino della terra», e il salesiano don Enzo Volpe, rettore del Centro Santa Chiara, che parlavano di venti «case di tolleranza» in centro storico, nascoste dal paravento della vendita di prodotti culinari, ma invece cassa di risonanza per lo sfruttamento della prostituzione e per lo spaccio di droga. Abitazioni con dentro extracomunitarie, provenienti dall’Africa, via Lampedusa. Il «problema», confermato anche dagli uomini della Questura, è noto da tempo, soprattutto nella zona dell’Albergheria. In quelle strade, dove succede «di tutto», sembra succedere anche quello.
«Oggi è in aumento lo sfruttamento della prostituzione dentro le case - denuncia il pastore Vivian -. Ci sono più di venti case, con moltissime ragazze che provengono da Lampedusa. Fanno finta di vendere piatti come in un ristorantino, invece l'attività è un'altra». E padre Volpe conferma: «Non essendoci possibilità di lavoro, per i migranti si aprono poche strade. Ci sono mamme che per sopravvivere lasciano i bambini all'asilo e vanno a vendersi in questi appartamenti. Sono luoghi anche di spaccio low cost. Io non scendo più in strada la sera a Ballarò - aggiunge con sconforto -, è una tristezza infinita». I due esponenti religiosi avevano denunciato tutto questo durante un incontro dove era presente anche Isoke Aikpitanyi, nigeriana, venuta fuori dal mondo della tratta e impegnata in prima persona nella liberazione delle ragazze.
Al di fuori delle case, non è certo difficile disegnare una mappa della prostituzione nel capoluogo: la Favorita, innanzitutto, via Lincoln, il Castello a mare, tutta la zona del porto, viale delle Scienze, vicino alla stazione centrale, alla Cala e al Foro italico, e una new entry, in viale Regione Siciliana, all’altezza di via Altofonte.
Ragazze che secondo i dati della Questura e delle varie associazioni vengono soprattutto dall’Africa. Prostituzione vuol dire soldi, guadagni per gli sfruttatori: «Parliamo di circa 10 milioni di euro solo a Palermo - dice Stella Bertuglia, del coordinamento Anti Tratta - nel capoluogo ci sono circa 500 prostitute. Il 60% viene dalla Nigeria. Si tratta di ragazze tra i 15 e i 22 anni, quindi tutte giovanissime. La clientela? Di tutte le età, tra i 14 e i 75 anni, di qualsiasi ceto sociale. E non è un problema di solitudine, visto che almeno il 75% dei clienti risulta alla fine avere una relazione. Quello che ci preoccupa - continua la Bertuglia - è che arrivano sempre più minorenni, che sono richieste per ovvie ragioni. Pochi giorni fa abbiamo avuto un incontro con tutti i Comuni della Sicilia, per avviare una rete che possa servire ad avviare una campagna di sensibilizzazione sul problema. C’è anche un progetto, dal nome «Root», che coinvolgerà non solo le varie amministrazioni ma anche scuole ed istituti». Non solo nigeriane, ovviamente, ma anche cittadine dell’Est europeo (moldave, russe, rumene), e anche dall’Albania. Cettina Restuccia, responsabile Immigrazione e tratta dell’associazione Penelope, sottolinea come «queste ragazze sono sfruttate da organizzazioni criminali. Le fanno venire qui in Sicilia, tolgono loro il passaporto e le costringono a prostituirsi. Ricattandole anche attraverso le famiglie rimaste in patria: se non si piegano, i loro cari rischiano la vita».
La Questura ha effettuato dei censimenti, cittadine extracomunitarie identificate e poi espulse dal paese. A volte c’è stata anche una collaborazione reciproca, soprattutto con le nigeriane, che hanno aiutato a «smascherare» i loro sfruttatori, ricevendo in cambio ad esempio il permesso di soggiorno. Ma di questi casi non ce ne sono stati moltissimi, una decina in tutto.