PALERMO. Volevano fare una truffa in grande stile, anche nei confronti del Monte dei Paschi di Siena, ma in mano gli sono rimasti solo gli spiccioli. Era un'organizzazione ben assortita quella sgominata questa dai carabinieri del Nucleo investigativo di Palermo che hanno arrestato 26 persone, mentre la mente del raggiro, Alfredo Tortorici, è ancora ricercato. A dividersi i compiti delle operazioni decise nello studio di Lorenzo Romano, consulente finanziario, erano mediatori immobiliari, un avvocato, un consulente assicurativo, consulenti del lavoro, un banchiere svizzero, un titolare di agenzie immobiliari, un ispettore della polizia in pensione, imprenditori e soprattutto i cracker: esperti informatici con competenze specifiche nell'eludere i blocchi imposti da qualsiasi software per riuscire ad avere profitti illeciti. L'indagine prende il via nel 2009 quando i carabinieri arrestano una dozzina di persone del clan mafioso di Villabate, la cosca che ha gestito la trasferta a Marsiglia di Bernardo Provenzano quando il boss fu operato per un tumore alla prostata mentre era latitante. Nelle intercettazioni c'è la voce di Antonino Mandalà, padre di Nicola, che sarebbe stato in ottimi rapporti con Lorenzo Romano. E' così che i carabinieri piazzano le microspie nello studio di Romano, all'Advisorteam, la sua società di consulenza per le imprese con sede a pochi passi dalla Cala, il porto turistico di Palermo, diventata il quartier generale dell'organizzazione. Già a marzo 2010 all'Advisorteam si parlava di una truffa gigantesca: bastava forzare i sistemi di sicurezza del Monte dei Paschi di Siena e svuotare i conti dove erano depositati i fondi per le pensioni di 32 mila dipendenti. Il raggiro avrebbe dovuto fruttare 40 milioni di euro. Per occultare il denaro, bisognava versarlo alla Falcon Bank di Zurigo e da lì, con successive operazioni "estero su estero", trasferirlo alle Cayman. Per mettere a segno il colpo, Tortorici aveva pensato a Francesco Spataro, funzionario infedele di una filiale palermitana del Mps, e ai cracker: Fabrizio Spoto, Giuseppe Burrafato e Alessandro Aiello. Ma la banca fu avvertita in tempo e il colpo fallì. Gli indagati ci riprovarono. Stavolta tentando di riciclare valuta estera. I soldi erano quelli di Giovanni Perrone, imprenditore edile di Castelvetrano, già indagato per mafia nell'inchiesta Golem II. Perrone, secondo l'accusa, in collaborazione con l'avvocato Antonio Atria e il perito assicurativo Dario Dumas, avrebbe cercato di piazzare un milione e mezzo di marchi dell'ex Germania dell'Est e certificati di depositi per 8 milioni di dollari americani. Montagne di soldi fotografati da Perrone, assieme a un quotidiano recente, per dimostrare di essere realmente in possesso del denaro. Di quei soldi non si ha traccia. Altra truffa tentata sarebbe quella che si basava sulla fittizia creazione di false fideiussioni bancarie da utilizzare in operazioni illecite. La vittima ancora una volta il Monte dei Paschi di Siena e il protagonista, secondo i pm, è sempre Spataro che avrebbe trafugato i moduli per le polizze. L'unico colpo messo a segno, almeno secondo quanto hanno potuto accertare e documentare gli inquirenti, è quello sugli incassi delle cessioni del quinto e dell'indennità di disoccupazione. Gli indagati cercavano persone disoccupate da almeno due anni (nelle intercettazioni gli arrestati li chiamano "scafazzati", cioè messi male) che, dopo essere stati assunti in una delle società riconducibili a Fontana, facevano richiesta di prestito a società finanziarie, con l'impegno di restituzione in rate da trattenere in busta paga. Il denaro ottenuto in prestito, circa 11mila euro per ciascuna operazione, non veniva mai restituito in quanto il dipendente veniva licenziato e la società dichiarata fallita.