PALERMO. Che i riflettori della Procura fossero puntati sulle società del gruppo Ponte, era noto già da almeno un anno. E in particolare da quando, su ordine della Direzione distrettuale antimafia, i finanzieri eseguirono una serie di perquisizioni negli uffici dell’hotel Astoria. Oggi la società che lo gestisce (la "F. Ponte s.p.a.), e quelle ad essa collegate, sono state colpite da un provvedimento della sezione misure di prevenzione del Tribunale che le pone in amministrazione giudiziaria, anche per fare luce su una serie di rapporti che gli inquirenti non esitano a definire "opachi", primo tra tutti, proprio quello tra i Ponte e gli Sbeglia.
In questi mesi gli investigatori della nucleo di Polizia Valutaria hanno analizzato carte e documenti concentrandosi, in un primo momento, su un’operazione contrattuale - dalla dubbia convenienza economica per i Ponte, ma di sicuro assai vantaggiosa per gli Sbeglia – tramite la quale il gruppo alberghiero ha preso in gestione (e tuttora detiene) l’attuale Hotel Garibaldi di piazza Politeama, il cui stabile è di proprietà della C.ED.A.M. s.r.l., società già degli Sbeglia e attualmente sottoposta ad amministrazione giudiziaria.
L’indagine della Valutaria è stata quindi condotta sia sul versante documentale (attraverso l’analisi dei flussi bancari e delle evoluzioni societarie), sia con pedinamenti e attività di osservazione e controllo.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, gli Sbeglia, prima con la C.ED.A.M. e poi (dopo gli arresti di Marcello e del padre Francesco Paolo, avvenuti nel giugno del 2010), attraverso prestanome come Brusca, avrebbero escogitato un sistema che ha permesso di ricevere, dalla "F. Ponte s.p.a.", somme non inferiori a 400.000 euro.
In particolare, la società alberghiera registrava false fatture, emesse in un primo momento dalla C.ED.A.M. (che essendo intestata a Marcello Sbeglia non è stata sequestrata nel 2010, all’atto degli arresti, ma solo nel 2011) e successivamente dalla ditta di Brusca (nullatenente e con diversi precedenti penali), per finte operazioni di manutenzione e lavori edili mai avvenuti, al fine di giustificare contabilmente l’uscita di denaro che, formalmente, andava a Brusca, ma sostanzialmente veniva immediatamente incassato, attrasverso prelievi in contante, direttamente da Marcello Sbeglia (tornato a piede libero nel secondo semestre 2010).
Tutto ciò, sostiene la Procura, con la consapevolezza dei vertici aziendali - tra cui il direttore finanziario e il rappresentante legale delle società del gruppo Ponte - anch’essi indagati a vario titolo.
Con questo sistema il giovane Sbeglia poteva permettersi un elevato tenore di vita, pur risultando di fatto nullatenente. Anzi, come dimostrano le numerose intercettazioni video compiute dagli investigatori, spesso utilizzava direttamente le carte intestate a Brusca per pagare acquisti personali o regali per la compagna e per i figli.
Oltre a quest’accusa, la Procura ipotizza l’investimento di capitali sottratti alle misure di prevenzione in un’altra impresa edile, la VE.CO.SI. s.r.l., formalmente intestata a Provvidenza Troia, 26 anni (pure lei indagata), ma di fatto gestita dal padre Gaetano Troia e da Marcello Sbeglia. In questo caso il costruttore non si limitava a partecipare ma secondo l'accusa "co-amministrava" procacciando clienti, tenendo i contatti con i fornitori, dando direttive per i lavori da eseguire e, soprattutto, disponendo operazioni finanziare sui conti della società, operazioni che poi venivano materialmente eseguite dalla figlia di Troia.
Il lavoro dei finanzieri prosegue adesso per far luce sulla reale ragione dei pagamenti che la "F. Ponte s.p.a." ha effettuato a favore degli Sbeglia e per verificare la riconducibilità di partecipazioni mafiose anche in capo ad altre insospettabili società di capitali.