PALERMO. «Un libro aperto». Senza immagini né grafie. «Mai visto nulla di simile». E sì, «probabilmente è una moschea, o comunque un ambiente di meditazione e spiritualità». Niente vacuità o divertissement, nella prima immagine saltata in mente al critico d’arte Vittorio Sgarbi, guardando le immagini della camera decorata con fregi arabi «scoperta» in un appartamento di via Porta di Castro dopo i lavori di ristrutturazione. Decori venuti completamente alla luce sotto mani e mani screpolate di intonaco vecchio e tinteggi moderni. Un enigma che lo storico Gaetano Basile ha immaginato di poter dipanare riconoscendovi un ambiente dedicato alla preghiera, sorta di «moschea domestica» allestita e usata da un notabile maghrebino di stanza in città. In un luogo che dista una manciata di metri dal Palazzo Reale, che secoli prima era stata la dimora degli emiri.
Dispiega la prima impressione, Sgarbi, e promette un imminente e più accurato sopralluogo già ai primi settembre: «La prima cosa cui ho pensato - dice - è un decoro di poco successivo alla prima datazione proposta, cioè un lavoro ottocentesco di gusto arabo. Tuttavia, alcuni particolari, innanzitutto l’estensione del vano, che in termini relativi non può considerarsi piccolo (pareti uguali di 3,5 per 3,5 metri, ndr) determina altre riflessioni. L’ipotesi di una stanza di preghiera è plausibile, oppure potrebbe trattarsi dello studiolo privato di un arabo, dedicato allo studio e alla riflessione».
E i fregi, esercizi grafici sulla sura, cioè i versetti del Corano che nella tradizione islamica «dicono apparendo» e invocano Allah nella bellezza delle volute calligrafiche? Qui sono in realtà senza significati precisi. «L’effetto della scrittura mantiene il carattere decorativo - continua Sgarbi - l’immagine, ma soprattutto il messaggio, che queste pareti rimandano, è quella di un “libro ingrandito”. Esattamente come avveniva nelle intenzioni dei decoratori delle chiese cristiane, per esempio nella lavorazione delle corali al centro delle absidi». Niente da compitare, dunque: messaggio e basta. «Proprio così - risponde il critico - non si tratta di un libro da leggere. Chi lo ha “scritto” voleva richiamasse il valore. Ecco, riflettiamo sul concetto di valore senza significato e di significato che non ha bisogno del valore».
Un paradosso che Sgarbi spiega così: «Non privo di significato, ma che del significato letterale può fare a meno. E che a me pare simbolo perfetto dell’eterna presenza araba in Sicilia, così come della vocazione interculturale che di quella presenza è frutto».
Insomma, non semplice «maniera», ma effetti di una cultura che dura: «Dimostra piuttosto la persistenza, lo storicismo di una cultura profondamente segnata dal mondo arabo. Il significato si esprime attraverso il decoro: la presenza araba attraverso i tempi, che io qui intendo come la possibilità data a tutti di prendere come significativo il decoro. Cosa emozionante e importante, che verrò presto a verificare più scientificamente, in una Sicilia che resta aperta, ieri e sempre. Anche, mi auguro, oggi, in questa stagione drammatica di conflitti».