
PALERMO. Li separava solo qualche metro. Lucia Petrucci e l'assassino di sua sorella Carmela, Samuele Caruso, sono stati di nuovo vicinissimi nell'aula del Tribunale di Palermo dove questa mattina si è celebrata la prima udienza del processo per l'omicidio della ragazzina di 17 anni, uccisa con venti coltellate il 19 ottobre scorso nell'atrio del palazzo dove stava rientrando dopo la scuola, in via Uditore. Lucia e Samuele, che hanno avuto una breve relazione, non si sono nemmeno guardati. Attorno a Lucia, anche lei colpita più volte dall'assassino, si è formata una barriera di parenti e avvocati. Il fratello non l'ha abbandonata nemmeno un secondo, mentre i suoi insegnanti e compagni della terza L del liceo Umberto I l'aspettavano fuori, cercavano di carpire qualche notizia sull'udienza da dietro i vetri delle porte chiuse. L'avrebbero voluto guardare in faccia Samuele, quel ragazzo di 23 anni che ha strappato loro un'amica e li ha catapultati nel mondo reale, lontano anni luce dall'adolescenza e dall'incoscienza. «Vogliamo giustizia», dicono ma hanno le facce preoccupate di chi sa che potrebbe succedere di nuovo. Dopo aver confessato quel gesto scellerato («è stato un raptus, ho perso la testa», ha detto al pm il giorno del delitto) l'imputato ha scelto il rito abbreviato per ottenere lo sconto di un terzo della pena e la difesa punta forte sulla parziale infermità mentale, dimostrata, secondo gli avvocati, da una perizia depositata al gup Daniela Cardamone che dovrà decidere nella prossima udienza (il 27 giugno) se nominare un consulente. Il giudice ha intanto accolto la costituzione di parte civile della famiglia di Carmela Petrucci, del Comune di Palermo e dell'associazione Onde, una Onlus che si occupa di combattere la violenza contro le donne. Il sindaco Leoluca Orlando, oggi in aula, ha rassicurato i compagni di classe di Carmela sull'impegno dell'amministrazione per combattere ogni tipo di violenza sulle donne. «La costituzione di parte civile - ha detto Orlando - è un atto di solidarietà e vicinanza alla famiglia Petrucci ma è soprattutto un atto di civiltà, un atto formale che conferma quanto è nel Dna della nostra amministrazione col rifiuto di ogni violenza di genere»
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