PALERMO. Una volta c’era il famoso «tavolino». Il mafioso-imprenditore Angelo Siino spiegò ai magistrati che tutti gli appalti pubblici in Sicilia erano controllati dalla mafia. I boss facevano vincere le aziende che indicavano loro, poi intascavano il 3 per cento dell’importo. Una percentuale andava anche ai politici che avevano fatto ottenere il finanziamento per iniziare i lavori. Mafiosi, imprenditori, politici si sedevano allo stesso «tavolo» e ognuno ne ricavava la sua utilità. Non c’erano eccezioni e guai a sgarrare. Adesso il tempo del mafioso-imprenditore pare essere superato. La realtà è esattamente l’opposto. Cosa nostra finanzia le imprese con i soldi sporchi delle estorsioni e del traffico di droga, imponendo la sua presenza in alcuni settori strategici ad altissimo rendimento. Come e perchè è avvenuto questo cambiamento lo spiega il capocentro della Dia di Palermo, il colonnello Giuseppe D’Agata.
COMANDANTE, NIENTE PIÙ APPALTI, MA IMPRESE DA FINANZIARE E CONTROLLARE. È QUESTA LA STRATEGIA DELLA MAFIA?
«Cosa nostra si adegua ai cambiamenti dell’economia. A causa della crisi economica, in giro ci sono sempre meno opere pubbliche da finanziare. E così le attenzioni dei boss si sono spostate altrove. I mafiosi hanno sia la necessità di riciclare ingenti capitali, ma anche di fare soldi in modo apparentemente lecito».
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