PALERMO. In progetto c'era la creazione di un "supermandamento" che unisse due enclave storiche di Cosa nostra, San Giuseppe Jato, ex feudo della famiglia Brusca, e Partinico, zona da sempre attraversata da violente fibrillazioni per il controllo del potere, ora terra di nessuno dopo l'arresto dei capi di un tempo: i Vitale. A riorganizzare i clan della provincia aveva provato Antonino Sciortino, boss con un pedigree mafioso di tutto rispetto: 12 anni di carcere al 41 bis, "investito" della missione dai capimafia detenuti. Appena uscito dalla prigione, a marzo scorso, s'era messo al lavoro ed aveva nominato nuovi vertici, ridisegnato i confini del territorio in nome del grande piano: unire San Giuseppe a Partinico in un nuovo mandamento, quello di Camporeale. Certo, la missione non poteva essere indolore e la riorganizzazione degli assetti come era logico aveva incontrato delle resistenze: come quella di Giuseppe Billitteri, che non voleva saperne di lasciare lo scettro di Monreale a un uomo di Sciortino. Una ribellione, la sua, pagata con la vita: Billitteri è stato strangolato e fatto sparire. E i carabinieri che conducevano l'indagine sui nuovi poteri, che oggi ha portato all'arresto di 37 persone, hanno ascoltato in diretta le fasi preparatorie del delitto. Che stesse accadendo qualcosa di grave era palese - i killer parlavano esplicitamente di "lacci nuovi" da recuperare -. Solo dopo però si è capito che si trattava degli strumenti da usare per eliminare un nemico. Vecchi metodi dunque per una mafia "rurale". La Cosa nostra dei 'viddani' che, accanto alle estorsioni, perpetua il "rito" dell' 'abigeato', il furto del bestiame, perché è ancora dalla terra che trae risorse economiche. E rivendica tradizioni e "costumi" antichi tenendo a rimarcare le differenze con i clan cittadini che cercano facili guadagni. "Io con i palermitani non ci voglio avere niente a che fare", dice uno degli indagati non sapendo di essere intercettato. Come luogo di incontro per i summit in cui discutere della riorganizzazione del supermandamento si era scelta una masseria tra San Cipirello e Corleone. E' lì che i nuovi capi si sono spartiti gli appalti e hanno deciso estorsioni e strategie politiche. Sì perché il rapporto con la politica, quella locale, continua ad essere fondamentale per la mafia. Dall' indagine è emerso che a mediare tra un imprenditore vittima del pizzo e le cosche c'era il sindaco di Montelepre, Giacomo Tinervia, arrestato per concussione e estorsione. Intascava mazzette e riscuoteva la quota della 'famiglia'. Solo dieci giorni fa aveva ratificato il codice redatto nel 2009 per conto della Regione Siciliana da una commissione speciale guidata dall'ex procuratore nazionale antimafia Pier Luigi Vigna per rendere "impermeabile" la pubblica amministrazione alle infiltrazioni mafiose e al malaffare. Forte il condizionamento di Cosa nostra anche sull' amministrazione comunale di Gardinello, altro paese del palermitano, dove le cosche decidevano candidati e assessori. Della sua influenza sulle vicende politiche il boss Giuseppe Abbate si vantava al telefono con l'amante a cui faceva sentire anche le sue conversazioni con vari amministratori locali. "Vedi che si muore Vitù", disse il capomafia, premurandosi di fare ascoltare la donna, a un consigliere che aveva discusso di candidature senza interpellarlo. "La politica noialtri la dobbiamo fare giusta, precisa". Perle di saggezza che dispensava anche ai tanti politici locali che andavano a chiedergli voti e appoggi e che ora rischiano di finire sotto inchiesta.