C'è ancora chi recita la litanìa che comunque Palermo non è il Bronx. E no che non lo è. Magari la Palermo di oggi fosse il Bronx di oggi. Purtroppo non lo è.
Dicono che altrove va perfino peggio. Che i numeri, le statistiche, le percentuali, gli assi cartesiani delle ascisse e quelli delle ordinate ci confortano. E così una madre che perde un figlio, ammazzato per un cicchetto, un occhiolino, un pestone o un tentativo di mediazione pacifica, si può consolare. Che altrove va perfino peggio. Diteglielo, magari se ne farà una ragione.
Dicono che allo Zen vivono certamente anche tante persone oneste e perbene. Che resistono nella trincea di una frontiera in abbandono. O magari, chissà, persistono a farlo.
Dicono che la movida aiuta anche i bravi ragazzi a svagarsi e muove l’economia della città. E pazienza se il centro storico palermitano è ridotto a un suk sconclusionato e fuori controllo (non solo in materia di ordine pubblico) che puzza di fritto e alcol a basso costo. In cui ogni vecchia bottega che chiude lascia posto a un improbabile fast food contemporaneo.
Il tutto mentre - sottolinea chi ha buoni argomenti per dirlo – «qualcuno» sta facendo sempre più cartello per accaparrarsi progressivamente la gestione di tutti quei locali arraffaturisti, teen ager a far vasche e avventori spicciolati. Rendono. E anche parecchio.
Dicono che in fondo da queste parti un tempo la mafia ne ammazzava cento all’anno. Ma poi le stragi, i lenzuoli, le coscienze, i pentiti, gli arresti, i processi, lo Stato… E così dicono che oggi la mafia non controlla più niente. Forse perfino non conta più niente. E poi però c’è qualcuno che azzarda dicendo che si vede anche.
Dicono che è tutta una questione di società involuta, di modelli deviati, e la scuola carente o le famiglie assenti, e Gomorra osannante o i trapper ammiccanti. Poi però un tizio che avrebbe appena ammazzato un ventenne, trova il tempo – prima di essere arrestato – di postare su Tik Tok (che Dio ci salvi da Tik Tok), una citazione col copyright di Totò Riina. Al cui rampollo pochi giorni fa qualche altro illuminato aspirante blogger a caccia di torbidi like e grezza notorietà ha offerto un microfono per pontificare su ogni scibile disumano nella giungla social. Perché, si sa, i social sono libertà, democrazia, voce per chi non ha voce. Conoscenza. Modernità. Contemporaneità. Certo. E nove decimi dei media nazionali (questo giornale è volutamente rimasto nel decimo residuo) ad andar dietro a questa schifezza. Ampliandone l’eco. Per censurarla, certo. Reciproco cinico giovamento e gioco – ancora una volta - fatto.
Viviamo tempi molto grami. In cui la simbiosi con l’imponderabile, attraverso cui si dipanano le nostre vite, ha ormai lasciato spazio all’orrore del ponderabile. Oggi sappiamo anche che di movida si può morire. È successo. Succede. Succederà ancora.
Ce la teniamo anche, ’sta storia che Palermo non è peggio di altre città. Se fa gioco a qualcuno cullarsi sopra le statistiche, che lo faccia pure. A noi questa cosa fa venire in mente il pollo di Trilussa. Solo che non fa proprio ridere. Come le tante verità che dicono. Insieme alle altrettante stronzate. Intanto ne è morto un altro. A Palermo. Che non è il Bronx.

Scopri di più nell’edizione digitale
Per leggere tutto acquista il quotidiano
o scarica la versione digitale.

Caricamento commenti
Commenta la notizia