«Sono l’Italia e la Sicilia migliore, che ha riportato il lavoro al centro del dibattito e della vita pubblica». Lo ha detto il segretario regionale della Cgil, riferendosi agli elettori che si sono recati alle urne per il referendum. Ora, ben si comprende che voglia rincuorare e gratificare elettori e militanti della sua organizzazione, attribuendo loro meriti che evidentemente non riconosce a chi è rimasto a casa. E però io che sono andato a votare non mi sento «migliore» di chi ha fatto scelte diverse. Intanto perché in precedenti consultazioni referendarie anche io sono rimasto a casa.
Il merito civico di andare a votare o vale sempre oppure mai: non possiamo riconoscerlo a corrente alternata, quando piace a noi. In secondo luogo, piuttosto che sentirmi parte di una minoranza «migliore» di siciliani (la più piccola in Italia, peraltro), mi chiedo come mai poco meno di quattro su cinque hanno disertato le urne. E la risposta non potrà essere che la stragrande maggioranza sono i «peggiori»: perché se così fosse (e così non è), sarebbe meglio dire ai «migliori» di scappare dalla Sicilia! Non credo che la Cgil pensi questo. Forse sarebbe meglio dire «scusate ce l’abbiamo messa tutta ma – come ha fatto Landini – l’obbiettivo non è stato raggiunto».
E allora la prossima volta, prima di impegnare l’intero paese in quesiti referendari ad alto tasso tecnico sul mondo del lavoro, verifichiamo che i sindacati maggiormente rappresentativi facciano fronte comune. Sennò non si tratta di «un obbiettivo non raggiunto» ma di una sconfitta ben preparata.

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