Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

Serve un’antimafia riflessiva e pluralista

Il martirio di Falcone e Borsellino e di tutte le altre vittime delle stragi del ‘92-93 ha generato una rivolta civile e politica. Il ruolo delle Università nella lettura del nostro passato e dell’attualità

Intelligente, pluralista, discorsiva. Non l’unica antimafia possibile, ma quella oggi necessaria. Tocca ragionarci sul serio, proprio a partire dalla odierna Giornata della memoria e dell’impegno per le vittime delle mafie, istituita con legge nel 2003 grazie all’impegno di don Luigi Ciotti e la sua associazione Libera. È un momento importante che dà l’occasione a tutti non solo per ricordare le vittime innocenti della violenza mafiosa ma anche per riflettere sullo stato di salute «nostro», ossia della lotta alle mafie, sia «loro», cioè delle organizzazioni criminali. Libera ha scelto Trapani, molto significativamente, come città in cui sviluppare le varie iniziative di commemorazione e di dibattito che richiameranno migliaia di giovani: è la provincia, infatti, in cui ha comandato fino al suo arresto l’ultimo dei boss corleonesi, Matteo Messina Denaro; nonché il territorio considerato da sempre il «granaio» di Cosa nostra quanto ad attività economico-finanziarie in mano ai mafiosi. Quest’anno, però, si aggiunge un’altra iniziativa di respiro nazionale: cinque Università delle quattro città che furono colpite dallo stragismo mafioso del 1992-1993 (Palermo, Roma, Firenze, Milano) si uniranno in un evento comune in ricordo di quella terribile stagione proiettando contemporaneamente il docufilm «Falcone e Borsellino. Il fuoco della memoria», realizzato dall’Università di Palermo nel quadro del Progetto Legalità del Mur con la regia di Ambrogio Crespi, condividendo poi nel corso della manifestazione un collegamento nazionale per un intervento di Fiammetta Borsellino.

L’evento, intitolato «Le università contro le mafie. La memoria delle stragi per costruire il futuro», segna forse un cambio di passo o comunque una nuova consapevolezza per chi insegna nelle Università rispetto alla necessità di ampliare le modalità formative nei confronti degli studenti e al modo di contribuire alla crescita del dibattito pubblico sul tema cruciale della lotta alle mafie. Si tratta, cioè, di raccontare il passato tragico che abbiamo alle spalle con mezzi in grado di suscitare l’interesse dei più giovani (come il docufilm in questa occasione), e insieme suscitare un autonomo spirito critico sulla ricostruzione storica di quegli eventi e la fiducia nel cambiamento, nel futuro. Non è facile, intendiamoci. Molto spesso si è tentati a semplificare, ad additare di volta in volta uno o più colpevoli, una o più cause specifiche della persistente presenza nel nostro Paese, al Sud come al Nord, di ramificate organizzazioni mafiose che condizionano l’economia, la politica, la società. E magari a lasciarsi andare in slogan accattivanti come «le mafie sono sempre più forti» al fine di mobilitare l’opinione pubblica nel nobile intento di convincere tutti a «non abbassare la guardia». Eppure sono proprio queste forme stereotipate di coinvolgimento emotivo che possono rivelarsi pericolose: perché a pensarci bene, rischiano di far credere, in modo gattopardesco, che «tutto cambia affinché tutto rimanga com’è». In realtà, la memoria delle stragi del 1992-1993, anzitutto, deve farci prendere atto che il martirio eroico di Falcone e Borsellino, delle loro scorte e di tutti coloro che persero la vita allora per il semplice fatto di trovarsi come inermi cittadini nel posto sbagliato, ha generato una rivolta civile e politica che ha profondamente cambiato il rapporto tra Stato e mafie, trasformandolo da secolare coabitazione sinergica a permanente condizione di belligeranza, in cui gli apparati statali professionali danno la caccia in modo asfissiante ai mafiosi. È, questo, un cambio epocale che può essere apprezzato soltanto se si favorisce una lettura storicamente orientata del nostro passato e dell’attualità: ecco il ruolo delle Università, del sapere critico. Consapevolezza del passato e del cambiamento per attrezzarsi di più e meglio alla lotta contro Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorre che certamente è una sfida aperta nella società e nelle istituzioni. La domanda centrale a cui rispondere è: perché mai, nonostante il cambio epocale determinatosi negli ultimi lustri che ha portato via via lo Stato e la sua legislazione a schierarsi senza indugi nel contrasto alle mafie, le organizzazioni criminali rivestono ancora un ruolo così importante negli scenari criminali e politico-sociali del nostro Paese?
A questa domanda, basica beninteso, non si deve rispondere in modo populistico con soluzioni semplicistiche magari strumentali all’affermazione del proprio ruolo politico-culturale e perfino istituzionale, bensì con approccio (auto) critico e strumenti di analisi sociale differenziata, territorio per territorio, prendendo in considerazione le specifiche organizzazioni mafiose nel loro concreto atteggiarsi nei diversi contesti e, soprattutto, senza fare di tutta l’erba un fascio. Insomma, abbiamo bisogno di una antimafia riflessiva, pluralistica, sapiente, studiosa, la cui sede naturale non può che essere costituita dalle Università italiane. Una antimafia colta, consapevole, che non coltivi un inutile unanimismo perché quando si tratta di capire i fenomeni mafiosi e trovare soluzioni politico-sociali per contrastarli è bene che ci si confronti anche sulla base di diagnosi, prognosi e terapie legittimamente diverse, senza che qualcuno pretenda di avere la verità sempre e comunque e si senta legittimato a scomunicare gli altri che la pensano diversamente. Un’antimafia intelligente nei contenuti, quindi, e mite nel metodo di confronto dialogico che, in altre parole, non lasci sola quella militante alla quale spetta il prezioso compito di mobilitare la società civile.

Caricamento commenti

Commenta la notizia