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Frasca: «La lotta contro questa mafia che rinasce deve stare al centro dell’agenda politica»

Il presidente della Corte d’Appello di Palermo a colloquio con il nostro editorialista Costantino Visconti

I variegati temi della giustizia e i recenti fatti di cronaca, dalla Riforma proposta dal governo Meloni fino all'ultimo maxiblitz antimafia di Palermo, sono al centro della conversazione fra il nostro editorialista Costantino Visconti, direttore del dipartimento di Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali (Dems) dell’Università di Palermo, e il presidente della Corte d’Appello di Palermo, Matteo Frasca (testo elaborato da Andrea Merlo).

Matteo Frasca ci accoglie nella sua stanza al primo piano del Palazzo di Giustizia. La tv accesa trasmette le ultime notizie sull’operazione che ha portato al fermo di 181 presunti mafiosi palermitani. Gli chiediamo non di entrare nel merito di questa ultima inchiesta diretta dal procuratore De Lucia e dall’aggiunto Sabella, ma di esprimere il suo punto di vista sullo stato di salute della lotta alla mafia sul quale si è soffermato in modo significativo all’inaugurazione dell’anno giudiziario.

Frasca
Questa inchiesta dimostra innanzitutto che, contrariamente a quanto si possa pensare, Cosa nostra non è stata ancora sconfitta e tende sempre a riorganizzarsi. Poi, conferma lo straordinario impegno delle Forze di Polizia e della Magistratura nell'azione di contrasto all'organizzazione criminale. Ritengo che sia indispensabile che la lotta alla mafia sia sempre al centro, con i fatti, dell'agenda politica del Governo e del Parlamento, dell'agenda istituzionale di Magistrati e Forze di polizia, dell'agenda civica della Comunità. E questo rende indispensabile che la legislazione in materia non venga modificata in alcun punto se non per potenziarne l'efficacia.

Visconti
Detto questo, da dove vuole cominciare la nostra chiacchierata?

F.
Cominciamo da lì. (Il giudice indica il quadro alle sue spalle con un sorriso. È una fotografia di Giovanni Falcone). Vede, di questo grande magistrato si ricorda sempre lo straordinario talento investigativo, il cosiddetto «metodo Falcone». Giustamente. Ha dato un contributo unico. Ma mi piace ricordarlo soprattutto per il suo modo di stare nelle Istituzioni. Giovanni è stato uno dei magistrati più bersagliati, tanto all’interno quanto all’esterno della magistratura. Lo accusavano di carrierismo ma in realtà è stato un collezionista di bocciature, dalla mancata nomina a capo dell’ufficio istruzione all’elezione al Csm, per finire con la Dna. Eppure, non ha mai detto una parola contro le Istituzioni e contro chi le rappresentava, perché aveva un senso dello Stato esemplare.

V.
Beh, non si può certo dire che godeva di un ampio consenso tra gli stessi suoi colleghi.

F.
Purtroppo no, anche perché non sempre la sua capacità di visione era compresa. Dopo la nomina di Meli a capo dell’Ufficio istruzione non manifestò alcun risentimento e continuò a lavorare come sempre. Nonostante le numerose mortificazioni che ha ricevuto nel corso della sua carriera non ha mai perso fiducia e lealtà nei confronti delle Istituzioni.

V.
Lei lo ha conosciuto?

F.
Sì, ho cominciato l’uditorato con il Consigliere Chinnici quando nell’Ufficio istruzione si istruiva il processo Spatola. Falcone e Borsellino entravano continuamente nella sua stanza per discutere delle inchieste in corso. Il pool non era solo un modo efficiente di organizzare le indagini. Alla base c’era un certo modo di stare nelle Istituzioni, concepite come un luogo in cui si collabora tutti e insieme si raccolgono i risultati. Senza protagonisti o solisti.

V.
Secondo lei l’esempio di Falcone è stato poi effettivamente seguito?

F.
Credo che più o meno tutti cerchiamo di ispirarci a lui che però rimane unico, un fuoriclasse.

Una partita di calcio del 1998 fra magistrati e avvocati: Frasca è il secondo da sinistra in piedi e guarda verso Falcone

V.
Si sta arrivando oggi alla riforma della magistratura in un clima molto teso. Durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario il gesto dei magistrati di uscire voltando le spalle ai rappresentanti del governo è stato forte. Una rottura. Non ritiene che si dovesse tenere un atteggiamento più dialogante? Se si volta le spalle al proprio interlocutore il confronto diventa impossibile.

F.
Il dialogo presuppone disponibilità all’ascolto, è difficile dialogare in queste condizioni. Il disegno di riforma costituzionale è blindato, non vi è stata discussione nemmeno in Parlamento, quasi un prendere o lasciare.

V.
Mi sembra di capire che per voi l’alternativa è lasciare.

F.
Noi guardiamo all’efficienza della Giustizia nell’interesse dei cittadini e per questo intendiamo segnalare all’opinione pubblica il punto di vista della magistratura sui pericoli di questa riforma. La separazione delle carriere è solo uno degli aspetti preoccupanti. Esistono anche lo sdoppiamento del CSM e la selezione per sorteggio dei suoi componenti, che è una vera mortificazione. Il CSM non è assimilabile ad altri organi collegiali. Non dimentichiamo che è presieduto dal Presidente della Repubblica. Singolare, poi, lo spostamento della funzione disciplinare dal CSM a un organismo esterno, che sarebbe un fatto unico perché non previsto in nessuna categoria professionale.

V.
Lo capisco. C’è però il rischio che dall’esterno venga vista come una reazione difensiva, puramente corporativa. Forse questo atteggiamento non aiuta a spiegare le vostre ragioni. Ora con i nuovi vertici dell’Anm sembrerebbe che si sia aperto un canale di dialogo con il governo: lei pensa che magari rinunciando a una posizione di assoluta chiusura, la magistratura possa ottenere qualche miglioramento della riforma appena approvata da un ramo del Parlamento?

F.
La rinuncia o la mediazione non possono essere attuate sui principi fondamentali che non sono disponibili e che questa riforma, al di là delle promesse e delle rassicurazioni suadenti, pone invece seriamente in discussione. Io porrei la questione in altri termini. Non è questo il modo di affrontare i problemi della giustizia e non sono questi i contenuti che servono. Occorre chiedersi cosa serva per una giustizia efficiente per i cittadini e questo dev’essere il terreno del confronto. Il resto non serve, anzi fa danno. Ma per far questo bisogna ascoltare chi le aule di giustizia le vive tutti i giorni. Non solo i Magistrati. Io ritengo che un grande apporto possa provenire dagli Avvocati, che con i Magistrati hanno contribuito alle grandi conquiste giurisprudenziali sul versante della tutela dei diritti.

V.
Al netto di questa riforma, cosa si deve fare per far ripartire la macchina della giustizia?

F.
Assicurare, non a parole, la ragionevole durata del processo, come impone la Costituzione e porre massima attenzione alla professionalità. C’è un problema serio di organici. Do atto al ministro Nordio di avere intensificato i concorsi per l’assunzione di magistrati anche se gli effetti si vedranno nel tempo perché la durata dei concorsi non è breve e bisogna tenere conto dei pensionamenti. Lo stesso vale per il personale amministrativo.

V.
L’esperimento dell’ufficio del processo ha funzionato?

F.
È un ottimo istituto che andrebbe reso strutturale, come da tempo la Magistratura chiede. Per adesso è stato costituito da giovani a cui non si è data nessuna prospettiva di stabilità per il futuro ed è quindi naturale che cerchino altri sbocchi professionali. C’è il grande tema della digitalizzazione. Il processo telematico civile è partito da più di dieci anni fa e accusa i segni del tempo, mentre quello penale non riesce a decollare. Serve una legislazione stabile perché continue modifiche normative generano disorganizzazione negli Uffici e di questo fanno le spese i cittadini.

V.
Mi sembra una buona agenda. Ma come mai non riuscite a imporre questi temi nel dibattito? La magistratura comincia ad essere guardata con diffidenza da ampie fette dell’opinione pubblica. Non ritiene di dover fare autocritica anche come viatico a un nuovo dialogo, al riconoscimento di almeno alcune delle ragioni altrui? Ecco, mi lasci dire: a volte molti di noi hanno la sensazione che voi magistrati vi sentiate sempre e comunque dalla parte giusta, e releghiate gli altri, in particolare la politica, dalla parte sbagliata.

F.
L’autocritica è una sana manifestazione di intelligenza e di responsabilità. Ma non credo in questo momento sia utile avvitarsi nel fare l’inventario delle colpe. È fondamentale invece guardare avanti e recuperare la fiducia nelle Istituzioni.

V.
Io parlo di autocritica collettiva, da parte dell’Anm, ad esempio.

F.
Si accusano i giudici di essere politicizzati e antimaggioritari solo per avere emesso provvedimenti non conformi alla politica governativa, e, al tempo stesso, contraddittoriamente, si chiede che la magistratura assecondi o non ostacoli le scelte del Potere esecutivo, che sarebbe la forma peggiore di politicizzazione. La Magistratura non è «a favore» o «contro», tutela solo i diritti.

V.
Non crede che a volte la magistratura sia stata una istituzione invadente?

F.
Se ci sono stati eccessi credo che siano riconducibili a comportamenti individuali. È anche vero che si è delegato molto alla magistratura, che si è trovata ad avere un ruolo da protagonista nelle grandi trasformazioni della società. Dal diritto del lavoro al danno biologico, dal diritto di famiglia alle questioni del fine vita. Con un paradosso: si taccia la magistratura di esondare dalle proprie attribuzioni ma non si considera che la politica spesso non è intervenuta su questi grandi temi, a volte disattendendo anche le sollecitazioni della Corte Costituzionale.

V.
Esempi condivisibili, ma non crede che forse l’intera giurisdizione è rimasta schiacciata da una sorta di sovraesposizione di quella penale sulle altre?

F.
Certamente se a ogni fenomeno che crea ansia e paura si ricorre alla introduzione di nuovi reati aumentandone il numero a dismisura, è inevitabile che l’attenzione si polarizzi sulla giustizia penale che viene ingolfata senza alcuna effettiva necessità.

V.
Io alludevo anche a una sovraesposizione dei pubblici ministeri rispetto all’intera magistratura. Certo, il governo non fa che avallare il fenomeno promuovendo un diritto penale ipertrofico.

F.
(Matteo Frasca alza le spalle) Se lo dice lei … Io credo che per assolvere adeguatamente alla sua funzione il diritto penale dovrebbe essere ridotto all’indispensabile.

V.
Concludiamo nel modo consueto. Un consiglio di lettura?

F.
Rimango in tema. Suggerisco di leggere gli scritti di un grande Avvocato, Piero Calamandrei, e di un grande Magistrato, Giovanni Falcone, spesso citati ma che meriterebbero di essere letti e riletti per intero, con attenzione e senza strumentalizzazioni.

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